Santo subito! Ieri Rai3 ha mandato in onda un’intera serata dedicata alla tecnologia. C’è voluta la morte del fondatore di Apple e l’intero tam-tam mediatico globale che ne è seguito, per far accorgere la nostra tv pubblica che i temi di Internet, dell’innovazione e della cultura digitale sono ormai a familiari anche alle masse.
Tra le varie ragioni del tragico ritardo tecnologico in cui versa il nostro paese, non mi stancherò mai di ricordare il pressoché totale disimpegno della Rai nella promozione, discussione e divulgazione dei temi digitali. Per carità, come per altri temi rilevanti d’informazione, esistono numerosissimi professionisti inascoltati del servizio pubblico che, nella più completa indifferenza dei vertici, hanno provato a ritagliare spazi che trattassero l’argomento. Il confronto, tuttavia, va fatto con l’impegno che si è visto in altri paesi, soprattutto in quelli dove l’innovazione e il digitale hanno compiuto, guarda caso, i passi più ambiziosi.
Un esempio su tutti è rappresentato dalla Bbc che, oltre a offrire un’ampia varietà di programmi da prima serata dedicati alla tecnologia (come l’ormai leggendaria rubrica Click!), già 13 anni fa riceveva dal Parlamento il “mandato Internet”, la terza gamba della comunicazione, assieme a radio e Tv, con lo stanziamento di ingenti fondi. Quell’impegno non ha solo consentito alla Bbc di divenire la più influente fonte di informazione on line del Regno Unito (ed una delle più ascoltate al mondo), ma, soprattutto, ha impresso all’intera società britannica una spinta fenomenale nella direzione dell’innovazione tecnologica. E i risultati si vedono. Non è certo solo merito della Bbc, ma è un fatto che oggi il regno di Sua Maestà si collochi tra i paesi europei più avanzati in tutti gli indici di utilizzo e sviluppo del digitale.
Non a caso, quando nel 2007 si trattò di rinnovare il contratto di servizio della Rai, assieme a uno sparutissimo gruppo di talebani (questo il modo in cui la classe dirigente italiana è solita vedere coloro che si battono per questi temi), mi ritrovai a essere tra coloro che, grazie al sostegno dell’allora ministro delle Comunicazioni Paolo Gentiloni, riuscirono a far digerire ai vertici della Tv di stato il famigerato art. 6, quello che, per l’appunto, istituiva il mandato Internet per la Rai e, più di ogni altra cosa, richiamava l’azienda a impegnarsi sulla promozione e divulgazione dei temi tecnologici. Un giorno, magari, qualcuno ci spiegherà come mai quegli impegni siano stati tanto disattesi.
Ora si spera, come anche ricordato da Riccardo Luna ieri in trasmissione, che Rai3 faccia seguire all’edizione straordinaria per la morte di Jobs un impegno più serio e costante nella divulgazione di questi temi. Contrariamente al pensiero di tanti professionisti dei media tradizionali, non ci vuole molto. La storia dell’informatica, di Internet, dell’innovazione tecnologica è facile da raccontare quando si mette mano alle passioni e alle ambizioni, dal tono quasi shakespeariano, che hanno caratterizzato la narrativa sorta attorno alla Silicon Valley e dintorni.
Magari, la prossima volta, ci si ricordi di chiamare anche qualche sviluppatore. Se c’è qualcosa che ieri nessuno ha ricordato, è che, come spesso sostenuto dallo stesso Steve Jobs, le grandi innovazioni non sono mai il frutto dell’immaginazione di un singolo ma del duro lavoro di un team. E se Apple è divenuta la più grande multinazionale dell’hi tech, non è solo per il genio di un visionario, ma soprattutto per il lavoro serissimo di migliaia di ingegneri, informatici e tecnici, senza le competenze dei quali Steve Jobs non sarebbe mai andato da nessuna parte. Per quanto possano essere affascinanti le sorgenti buddiste o narcolettiche dell’ispirazione geniale del visionario di Cupertino, senza gente che sappia scrivere almeno una riga di codice non sarebbero mai nati il Mac, l’iPhone e l’iPad.
Anche in questo, la Rai ha una responsabilità immensa nel rendere nuovamente attraente per le giovani generazioni la passione per le discipline tecno-scientifiche, settore in cui l’Italia una volta era leader, ma dove negli ultimi decenni abbiamo subito un’emorragia di talenti e competenze che forse, più di ogni altra cosa, ha veramente segnato il declino del nostro Paese.