Gli incidenti sono i più gravi dopo la caduta di Mubarak. Rimpallo di responsabilità sull'innesco delle violenze, esplose durante le proteste contro la demolizione di una chiesa nella provincia di Aswan
Ieri pomeriggio circa duemila copti (che in Egitto rappresentano il 10 per cento degli 80 milioni di abitanti) si erano riuniti per una manifestazione di protesta, nei pressi della sede della tv di Stato, contro la demolizione, a fine settembre, di una chiesa nella provincia di Aswan, nel sud dell’Egitto. Presto sono iniziati gli scontri tra dimostranti, abitanti della zona e forze di sicurezza. Su come siano iniziate le violenze, che poi si sono propagate in piazza Tahrir, luogo simbolo della rivolta anti-Mubarak, le versioni sono discordanti. Secondo la tv di Stato, i manifestanti hanno lanciato sassi e aperto il fuoco contro i soldati dispiegati nella zona della protesta. Stando a fonti della sicurezza, hanno anche incendiato due mezzi blindati, sei auto private e un bus. Decine di persone sarebbero state arrestate.
“Ignoti hanno sparato contro i dimostranti”, afferma invece l’attivista Rami Kamel, citato dall’agenzia di stampa Dpa. Secondo alcuni testimoni sentiti dalla stessa agenzia, due mezzi blindati avrebbero puntato sulla folla di manifestanti e ucciso diverse persone. Durante la protesta sono state incendiate immagini del governatore di Aswan, Mustafa al-Sayed, che ha ordinato la demolizione della chiesa sostenendo fosse stata costruita illegalmente. I dimostranti hanno chiesto il licenziamento del governatore e la ricostruzione del luogo di culto.
Il primo ministro egiziano Essan Sharaf si è dichiarato “molto preoccupato” per il futuro del Paesee ha rivolto a cristiani e musulmani del suo Paese un monito a non cedere “agli appelli alla sedizione” provenienti dai gruppi coinvolti negli scontri. Lo ha fatto alla tv pubblica dichiarando che “la nazione è in pericolo a seguito di questi eventi. Questi eventi ci hanno riportato indietro, invece di andare avanti per costruire uno Stato moderno su delle sane basi democratiche”. E ha aggiunto: “La cosa più pericolosa che possa minacciare la sicurezza della nazione è giocare con la questione dell’unità nazionale e provocare la sedizione tra cristiani e musulmani”, nonché “tra il popolo e l’esercito”.
Sul fronte islamico, il movimento salafita egiziano si chiama fuori: “I nostri uomini non hanno partecipato agli scontri avvenuti ieri sera al Cairo tra musulmani e copti”, ha detto una fonte del movimento citata dal quotidiano arabo al-Quds al-Arabi. Ieri alcuni gruppi copti hanno accusato gli estremisti islamici egiziani di aver preso parte alle violenze.
Questa mattina l’Alto rappresentante per la politica estera dell’Ue Catherine Ashton ha invitato il popolo egiziano a “rispettare la libertà di tutti”.