Tra Roma e Parigi c’è una galleria che invece di sparare neutrini recapita Oltralpe i più brillanti fisici nostrani. Così, la “gaffe” del ministro dell’Istruzione Maria Stella Gelmini sull’esistenza di un fantomatico tunnel che collegherebbe il Gran Sasso con Ginevra – dopo l’exploit di Antonio Ereditato al Cern – diventa la metafora rappresentativa di una realtà nota a tutti i giovani studiosi del settore: se vuoi diventare un ricercatore di fisica devi volgere lo sguardo all’estero, percorrere il lungo “tunnel” che porta a Parigi. Un tunnel percorso da tanti, se è vero che da quelle parti si parla di “invasione italiana”.
Il perché è presto detto. “In Francia – spiega Francesco Zamponi, ricercatore in Meccanica statistica dei sistemi complessi presso il Cnrs, l’omologo francese del nostro Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) – per fare il mio lavoro non devi metterti in coda all’ordinario di turno e aspettare un concorso che potrà non arrivare prima di cinque o dieci anni, ma puoi giocartela ogni anno grazie ai bandi del principale ente statale deputato alla ricerca di base”.
Tempi certi, posti programmati, trasparenza e tempo indeterminato, questi gli ingredienti che rendono incomparabilmente più attrattivo rispetto al nostro il sistema di reclutamento transalpino. “Qui – continua Zamponi – il concorso Cnrs non solo si svolge con cadenza annuale, sempre nello stesso periodo, ma le università bandiscono un numero di posti che rimane costante, in modo che ogni studioso possa sapere in anticipo le disponibilità, cominciare a mettersi alla prova e rendersi conto prima possibile delle proprie possibilità di successo. In Italia, ammesso e non concesso che i concorsi si continuino a fare, accade l’esatto contrario: si accumulano per anni generazioni di studiosi per poi essere assunti tutti, o quasi, in una volta sola. Non c’è bisogno di uno scienziato per capire che si tratta di un reclutamento improvvisato, che mortifica invece di valorizzare”.
Zamponi, seppur appena 32enne, è stato testimone in prima persona dell’annus mirabilis della fisica italiana in Francia, il 2007, quando al concorso del Cnrs gli italiani ottennero, nelle classi di fisica, circa il 35 per cento dei posti banditi (il 71 nella sola classe di fisica teorica).
La cosa fece così scalpore che la “diaspora francese”, tra cui lo stesso Zamponi, scrisse una lettera aperta rivolta a Fabio Mussi, allora ministro di Università e ricerca, per denunciare non tanto una malintesa “fuga di cervelli” (“Il fatto che i ricercatori italiani – c’era scritto nella missiva – desiderino andare all’estero e vincano concorsi in tutti i paesi più avanzati è un dato molto incoraggiante. Vuol dire che la formazione che si impartisce in Italia è ottima, e che i giovani ricercatori italiani sono motivati, dinamici e talmente appassionati al proprio lavoro da essere pronti a emigrare per fare ricerca nelle migliori condizioni”), quanto piuttosto la totale assenza di un flusso inverso.
Non si assiste a un normale processo di internazionalizzazione, in cui ognuno ha da guadagnare, ma a un esodo che impoverisce solo un parte: il nostro Paese. Tanto più che in genere sono proprio quelli più bravi a non aspettare il loro “turno”. “Se qui bisogna mettersi in fila – spiega Roberto Natalini, dirigente di ricerca presso l’Istituto per le Applicazioni del calcolo “M. Picone” del Cnr – e altrove è possibile mettersi alla prova ogni anno, è chiaro i più bravi facciano la scelta di provarci”. “La verità è che appena un giovane respira l’aria pulita di un paese straniero decide di non tornare più indietro”.
“E’ come scegliere tra le stelle e le stalle”, spiega Giovanni Amelino-Camelia, tra i fisici più apprezzati al mondo, considerato dalla prestigiosa rivista americana Discover Magazine come uno dei possibili eredi di Albert Einstein in virtù dei suoi innovativi studi sulla gravità quantistica. Laureato a Napoli, specializzato a Boston, ha poi lavorato al Mit e al Cern, per poi scegliere di tornare in Italia dove ora è ricercatore presso il “glorioso” dipartimento di Fisica della “Sapienza” di Roma. “Non mi pento della mia scelta, benché percepisca un sesto di quello che percepivo in Svizzera, perché questa struttura ha un tradizione nobilissima”. Ma c’è un ma. “Devo tuttavia ammettere – confessa Amelino-Camelia – che quando ho deciso di tornare si faceva un gran parlare di uniformare l’Italia agli standard europei e invece non si è fatto assolutamente nulla”. Sull’“esodo” francese chiarisce: “E’ ovvio che sia così. Lì c’è una programmazione, i giovani hanno delle certezze su date e sulla disponibilità di posti. Qui non se ne ha alcuna, è semplicemente incivile il modo in cui viene trattato chi aspira a fare ricerca”.
A prendere un altro biglietto di sola andata per la Francia è Dario Villamaina, dottorando presso il Dipartimento di Fisica della Sapienza con una tesi sui materiali granulari, che grazie al suo curriculum è stato appena chiamato per un anno di post-doc al Laboratoire de Physique théorique et modèles statistiques di Orsay. “Sia chiaro che la mia storia è la storia di tanti e che andare all’estero dopo il dottorato non solo è normale, ma doveroso. Quel che mi fa un po’ rabbia è sapere già di dover abbandonare l’idea di poter tornare qui a svolgere il mestiere per cui sono stato formato e per il quale non c’è più rispetto”.
di Cristian Fuschetto