La proposta arriva dall'Aipo che si occupa di gestire il bacino del più lungo fiume d'Italia. 340 giorni di navigabilità commerciale a fronte degli attuali 200, grazie alla bacinizzazione dell'acqua da riutilizzare nei periodi più secchi.
Se fino ad oggi con i suoi 652 chilometri di lunghezza, il più lungo fiume d’Italia era navigabile 200-220 giorni l’anno, soprattutto a fini turistici, ecco che il piano di fattibilità presentato nei giorni scorsi dall’Aipo spinge nella direzione di un impiego pressoché annuale dell’alveo del fiume grazie ad un’idea di bacinizzazione dell’acqua, per poi riusarla nei periodi estivi di secca quando la navigazione è impossibile.
L’azione progettuale presentata dall’Agenzia, prevede un intervento nel tratto tra Cremona fino al canale Fissero-Tartaro-Canalbianco (intersezione tra Po e Mincio). Mentre lo studio di fattibilità ha individuato altri 21 interventi possibili nella parte navigabile del fiume che va da Piacenza fino all’Adriatico.
L’importo complessivo dell’operazione risulta di 5.880.000 euro e verrebbe coperto per il 50% dal contributo finanziario dell’Unione Europea (euro 2.940.000), dalla Provincia di Mantova 180.000, da Sistemi Territoriali 1.510.000 euro e da Aipo con 1.250.000 euro (su finanziamento di Regione Lombardia).
Un progetto che andrebbe a rivitalizzare sia un sistema di trasporti, come quello fluviale, ampiamente dimenticato e sottostimato in Italia; sia quelle aree confinanti con le province emiliano romagnole che il fiume tocca (Piacenza, Parma, Ferrara, ma soprattutto Reggio Emilia) lasciate all’incuria della cattiva amministrazione e persino ai danni all’ecosistema dovuti alla pesca di frodo.
Ogni anno sul Po vengono trasportate attorno alle mille tonnellate di merci, ma è un numero ancora scarso se confrontato con ciò che avviene in altri contesti europei. Oltretutto, diversi studi di settore che spingono per la conversione al trasporto fluviale, si basano su una proporzione molto semplice: un convoglio di due chiatte lungo 100 metri è uguale ad un convoglio di 80 carri ferroviari lunghi un chilometro e ad una colonna di 88 camion lunga 2.8 chilometri. Un’idrovia sul Po, quindi, potrebbe togliere dalla Milano-Venezia 5000 tir al giorno.
Un’ipotesi che pare fantascienza ma che ha visto proprio la Regione Emilia Romagna spendersi nel 2005, investendo ben 17 milioni di euro per la costruzione del porto fluviale di Boretto, in provincia di Reggio Emilia, al fine di riattivare il trasporto merci e la navigabilità sul Po.
Un’iniziativa diventata subito lettera morta dal 15 maggio 2006, giorno dell’inaugurazione, perché il porto di Boretto è rimasto inattivo. A tutt’oggi nessuna azienda si è interessata ad utilizzarlo e il preventivato decongestionamento del trasporto su gomma a favore del lungo corso del fiume Po è finito nell’album dei ricordi. Oggi rimane solo un ecomostro che Legambiente ha già chiesto di abbattere, ma che con il progetto Aipo tornerebbe sicuramente in gioco.
La scorsa estate, oltretutto, le zone fluviali di Boretto, Luzzara e Brescello sono state teatro di una conclamata e ripetuta attività di pesca di frodo denominata la “piaga dei pirati del Po”. Gruppi di cittadini dell’est, soprattutto dall’Ungheria, che attraverso siti web organizzavano sedute notturne di pesca per cacciare, anche con bombe a mano, i lunghi siluri. Per tutta l’estate, nonostante la secca, sono state decine le barche rubate per attivare questo traffico illecito che aveva come obiettivo la razzia di carne di questo povero pesce, prelibatezza gastronomica venduta 15 euro al chilogrammo che in Ungheria va a ruba.
di Davide Turrini