Picchi di 964mila telespettatori alle 23e30, share medio del 4,20%, oltre 2,7 milioni di contatti complessivi. Non può che dirsi riuscita la prima puntata de Il mondo che verrà con Romano Prodi a discettare di economia politica su La7.

Complici un montaggio agile, una rinnovata immagine del look del Professore (occhiali a montatura leggera in primis) e lo splendido scenario della sala Alma Mater dell’Archiginnasio di Bologna, il programma registrato qualche giorno fa e messo in onda martedì a tarda sera, su una rete non proprio ammiraglia, ha ottenuto eccellenti risultati d’ascolto. Tanto che molto probabilmente, come da accordi tra il team di Prodi e la rete tv, il programma verrà anticipato ad un orario meno da nottambuli.

La prima puntata delle tre previste incentrata sul tema “scontro tra continenti” è stata l’occasione per Prodi di discettare agile sui temi più stringenti di economia politica. E tra una chiara e critica spiegazione del debito americano (“pensate che il bilancio della California sia meglio di quello della Grecia?”) e il predominio cinese, il Professore si è dedicato anche all’analisi politico-economica dell’Italia.

Quando la conduttrice gli ha posto la questione su quali fossero le anomalie che costringono il nostro paese ad una difficile crescita economica ha risposto: “l’evasione fiscale che “sbilancia” i conti dello stato e la criminalità organizzata che impedisce agli investimenti economici di confluire nello sviluppo previsto”.

Ed anche agli occhi dello spettatore meno attento, i riferimenti all’agonizzante governo Berlusconi paiono essere stati molto chiari. Non pago, da Barcellona dove si trovava mercoledì pomeriggio per lavoro, Prodi ha rincarato la dose: “L’immagine dell’Italia in Europa e nel mondo non è mai stata così triste. Prima si cambia meglio è. Non c’è più governo e credibilità”

Prodi continua da professore a fare molta più politica dei politici di professione. Insegna, ammonisce, indica. Non ha davvero intenzione di tornare in campo, aspetta le elezioni presidenziali del 2013, marca però il proprio ruolo di riferimento per i delusi e gli speranzosi. Lui da Bologna preoccupa la politica romana di ogni schieramento.

In arrivo le puntate due e tre del programma economico su La7 che avranno per temi centrali l’euro che resisterà, la crisi, il mondo, il futuro. Tesi predicate da mesi dal Professore e contenute nel suo libro appena uscito, Futuro Cercasi.

L’Italia che vorrei si chiama invece l’ultimo libro e il neo partito di Gianfranco Fini. Prodi lo incontrerà il pomeriggio del 18 nel convento di San Domenico, alla festa colta di Nomisma, il centro studi da lui fondato 30 anni fa e che a lui continua a guardare. Giulio Tremonti ci sarà invece in mattinata. Presenze istituzionali, il presidente della Camera, il ministro dell’economia: certo incuriosirà vedere insieme tre dei personaggi che, in ruoli diversi, più guardano al dopo Berlusconi.

Fini era abbastanza apprezzato da Prodi come ministro degli Esteri quando il Professore era a Bruxelles. Tremonti venne battezzato mesi fa dall’ex premier Visc-onti, per le posizioni considerate eredità del ministro Visco. Prodi ha ritenuto a lungo il responsabile dell’economia l’unico che rappresentava con qualche dignità l’Italia; Angelo Rovati, sodale prodiano, ha persino fantasticato su una comunanza totale. Poi è venuto lo scandalo Milanese.

Si vedrà. Certo il Professore pesa, tanto che persino nel Pd c’è chi ipotizza che il sostegno di Prodi al referendum, al suo amico Arturo Parisi supercritico verso il segretario Bersani, agli altri parlamentari prodiani sia una manovra per stoppare l’accordo con il proporzionalista Pier Ferdinando Casini e alle sue possibili chance per il Quirinale.

Lui non si preoccupa dei boatos romani. Lamenta la crisi non solo italiana di leader, la mancanza di dialettica costruttiva: “Il problema è che i partiti sono ancora una struttura che selezionano la classe dirigente, ma non hanno più un loro dibattito interno di approfondimento”, è andato a dire in conclusione del bel convegno bolognese su Valdo Magnani ed Aldo Cucchi, reggiani usciti dalla Resistenza, leader nazionali, dissidenti Pci degli anni 50 di cui si celebrava il sessantesimo della scomunica togliattiana.

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