L’opposizione fa l’opposizione e oggi, per la prima volta compatta (c’è pure il Pd), lascerà l’aula di Montecitorio quando Silvio Berlusconi prenderà la parola. Che il premier parli pure da solo. Giorgio Napolitano fa il Capo dello Stato e, per la prima volta da quando si è insediato, usa a pieno i poteri che la Costituzione gli assegna: sprona il capo dell’esecutivo a portare alla Camera dei fatti concreti non solo la prova di forza del voto. “Berlusconi indichi una soluzione al rendiconto”. Un ultimatum: che il premier non pensi solo alla fiducia ma all’economia del Paese. Perché l’Italia è affacciata sul baratro da cui vede, in basso e già schiantata al suolo, la Grecia. Siamo in equilibrio, rischiamo di seguirla.
E se l’alleato di ferro, Umberto Bossi, minimizza e si trattiene a Palazzo Grazioli fino a tarda sera per rassicurare il premier sulla tenuta della maggioranza, al Cavaliere non basta perché la vera preoccupazione è l’ex sodale Claudio Scajola che, con i suoi frondisti, potrebbe riservare sorprese spiacevoli. Anche perché agisce a sua insaputa. Non è il 14 dicembre. Oggi servirebbero dieci Domenico Scilipoti a garantire il sostegno al governo, non ne basta uno che annuncia il voto favorevole. Perché la sconfitta di martedì sull’articolo uno dell’assestamento di bilancio rappresenta il funerale dell’esecutivo. L’unico precedente risale al 1988: il governo di Giovanni Goria fu costretto a dare le dimissioni in seguito alla bocciatura in Parlamento del suo bilancio. Anche per questo il Quirinale può intervenire con fermezza. “Ci sono le condizioni per sciogliere le Camere, anche a prescindere dal voto di fiducia”, spiega Nino Lo Presti, deputato finiano. Eppure, garantiscono da Palazzo Grazioli, Berlusconi vuole resistere. O almeno tentare. Ma quella richiesta arrivata dal Colle è impossibile da eludere ed è un chiaro avvertimento: atti concreti o tutti a casa.
Oggi il Consiglio dei ministri dovrà individuare una soluzione concreta. Tra le ipotesi la riduzione dei tagli al comparto istruzione e sicurezza. Poi, Berlusconi si presenterà in aula a Montecitorio per ottenere nuovamente la fiducia che sarà votata venerdì. Un discorso breve, un programma di fine legislatura per rilanciare l’azione dell’esecutivo. Pochi punti: decreto sviluppo (in merito al quale potrebbe fare un passaggio sulla necessita’ di risorse), riforma fiscale, riforme costituzionali (il cui iter è già stato avviato) e, ancora in forse, la riforma della giustizia. Perché secondo molti sarebbe controproducente anche solo parlarne. Meglio un accenno alla legge elettorale. Il premier è intenzionato a dimostrare con le parole e con i numeri che le preoccupazioni del Colle sulla tenuta non sono fondate. Ma, soprattutto, nel suo intervento di domani Berlusconi sosterrà la necessità di evitare una crisi di governo, elezioni anticipate e una conseguente instabilità che provocherebbe un danno al Paese.
Insomma: anche grazie all’opera di convincimento del solito Gianni Letta, Berlusconi ha deciso di rassicurare il Colle. Il Cavaliere però ieri non ha rinunciato a un piccolo strappo: secondo prassi, sarebbe dovuto andare al Quirinale, riferire e lasciare decidere al capo dello Stato se era il caso di ripresentarsi alle Camere. Non lo ha fatto, e il motivo si può immaginare. In sostanza si è rimandato alle Camere da solo. Napolitano ha sottolineato la gravità della situazione, ha manifestato “interrogativi e preoccupazioni, i cui riflessi istituzionali non possono sfuggire” dopo il voto di ieri e le “acute tensioni in seno al governo e alla coalizione” che comportano “incertezze nell’adozione di decisioni dovute o annunciate”. “La questione che si pone – ha concluso – è se la maggioranza di governo, sia in grado di operare con la costante coesione necessaria per garantire adempimenti imprescindibili” per risolvere “i problemi più urgenti del paese, anche in rapporto agli impegni e obblighi europei”.
La risposta spetta al Presidente del Consiglio e al Parlamento, cioè “ai soggetti che ne sono costituzionalmente responsabili”, e deve essere “credibile”. La maggioranza ha tentato di minimizzare. Da Angelino Alfano al capogruppo alla Camera, Fabrizio Cicchitto, dai sottosegretari Gianni Letta e Paolo Bonaiuti, ai ministri Bossi e Tremonti. “Il presidente della Repubblica Napolitano – ha osservato Cicchitto – pone degli interrogativi seri ai quali il Governo e la maggioranza devono dare una risposta”. Domani “ci aspettiamo un discorso coraggioso” che affronti “i temi importanti sul fronte economico, e guardi agli interessi dei cittadini e delle imprese”, ha aggiunto il capogruppo della Lega Nord alla Camera, Marco Reguzzoni. “La fiducia avrà i numeri che aveva in passato e forse anche qualche voto in più”, ha assicurato il ministro degli Esteri, Franco Frattini, convinto che una soluzione per la bocciatura dell’articolo 1 verrà trovata. Si può procedere “con la lettura e l’approvazione degli articoli, visto che l’ art.1 è un cappello che non contiene cifre” oppure “pensare a un maxi- emendamento”, ha ipotizzato il ministro. “Il governo ritiene che come in passato non ci sia sul piano tecnico alcuna relazione tra la presentazione della Legge di stabilità e l’ approvazione del Rendiconto e dell’assestamento. E’ già successo in passato”, ha spiegato Luigi Casero, sottosegretario all’Economia. Il segretario del Pdl, Angelino Alfano si è detto certo “che Berlusconi debba fare tre passi avanti con il decreto sviluppo, la riforma fiscale e la riforma dell’ architettura dello Stato da realizzare nei prossimi mesi”.
Pd, Idv e Terzo Polo ovviamente sono di tutt’altro avviso: non tre passi avanti ma ne chiedono uno indietro. E oggi, insieme agli altri rappresentanti delle opposizioni, usciranno dall’aula poiché “ritengono che questa situazione non sia più né decorosa, né tollerabile per l’Italia: il governo è incapace di dare risposte alle questioni economiche e istituzionali che sono aperte: dalla presentazione di provvedimenti urgenti per l’economia alla nomina del governatore della Banca d’Italia” si legge in una nota congiunta. “La bocciatura del rendiconto dello Stato configura inoltre un’inedita situazione che nella storia della Repubblica si era risolta solo con le dimissioni dei presidenti del Consiglio. Di conseguenza, il voto di fiducia chiesto dal governo, non risolve i problemi costituzionali aperti ed è soltanto un inutile tentativo di prorogare uno stato imbarazzante di incertezza e paralisi. Proprio per questo i gruppi parlamentari di opposizione non saranno presenti in aula durante le comunicazioni del presidente del Consiglio e non parteciperanno al successivo dibattito per non essere complici di una situazione che è ormai intollerabile”, prosegue il testo. “Il rispetto per le istituzioni repubblicane e il Parlamento ci impone di votare la sfiducia al governo, rispondendo alla chiama di venerdì mattina”. E anche l’ormai ex Pdl Santo Versace si è aggiunto ai voti contrari: “C’è bisogno di un cambiamento”.