Fermato nel 2008 per doping al Tour de France e di nuovo nel 2011 per un autotrasfusione di sangue che lo ha portato in fin di vita, il ciclista di Sassuolo rischia la più alta pena mai inflitta in Italia da una procura sportiva per doping. Il suo avvocato: "Non c'è flagranza di reato, solo testimonianze".
Dopo essere stato fermato al Tour de France il 17 luglio del 2008 per positività all’uso di CERA (EPO di terza generazione), Riccò era ritornato alle gare dopo un anno di squalifica, il 7 febbraio del 2011, ed era stato di nuovamente fermato dalla giustizia sportiva a seguito di un malore accusato in allenamento che lo aveva portato in rianimazione all’ospedale di Baggiovara. L’accaduto era finito sulle prime pagine di tutti i giornali perché Riccò era finito ad un passo dalla morte per una casalinga autotrasfusione di sangue conservato in frigo da diversi giorni.
Per questo motivo il promettente grimpeur è stato deferito al Tribunale nazionale antidoping (Tna) e gli è stata riconosciuta dalla Procura del Coni la responsabilità per violazione dell’art. 2.2. del Codice mondiale antidoping con una richiesta di squalifica che non ha eguali in Italia nel mondo sportivo.
Di diverso avviso il legale di Riccò, Fiorenzo Alessi: “Il ricovero del mio assistito fu determinato da un’infezione, ricondotta alla presunta auto emotrasfusione solo sulla base di dichiarazione di infermieri e medici del 118 di Pavullo e di Modena che riportarono presunte parole dei familiari di Riccò. Nessun analisi ha mai provato la trasfusione. Noi non svalutiamo quello che dicono i medici, ma in un procedimento giudiziario le testimonianze da sole forse non sono in grado di sostenere l’accusa. Non c’è flagranza di reato, solo testimonianze”.
Il corridore sassolese ha però sempre sostenuto di aver assunto “un’infusione di un medicinale lecito prescrittogli dai medici sportivi della sua squadra per grave carenza di ferro”. Le sacche di sangue dentro al frigo di casa, insomma, non sarebbero mai esistite.
Certo è che da quando Riccò è stato stanato da Carabinieri e Procura del Coni i suoi risultati sulle due ruote non sono più stati quelli strabilianti di qualche anno fa, quando tra Giro d’Italia e Tour de France aveva più volte sfiorato e altre volte vinto importanti trofei.
Se il Tribunale antidoping sarà spietato Riccò dovrebbe ritornare in pista all’età proibitiva di 40 anni. Se invece il Tna sarà clemente, magari comminando soltanto qualche anno di pena da scontare, il ciclista che gareggiava con Contador sui Pirenei, si dovrà misurare con lo spietato codice del gruppo. Difficile il reinserimento tra colleghi in casi di questo genere. E non solo tra i professionisti. Riccò, infatti, la scorsa estate aveva tentato di intrufolarsi in una gara amatoriale in provincia di Voghera, la “Gran Fondo Lombardi”.
Imboscatosi nel gruppo senza dire nulla, era stato ferocemente allontanato a suon di improperi e spintoni dai dilettanti in gara. Dileguandosi aveva poi affermato: “sono qui per aiutare alcuni amici cicloamatori”. Difficile credere che fosse solo questione di generosità e altruismo.
(d.t.)