Cara precaria, caro precario,
sono stato a Barcellona, all’incontro che ha lanciato in tutto il mondo le manifestazioni del 15 ottobre contro l’austerità. C’era un’energia, una voglia di diventare protagonisti, di confrontarsi, di trovare idee nuove, di fregarsene degli schemi della politica, una cosa da non crederci. Mi sono rincuorato. E poi è arrivata Occupy Wall Street: chi l’avrebbe previsto, solo un mese fa, un movimento così potente proprio nelle vie della finanza globale, dove lavorano i vampiri che hanno distrutto l’economia mondiale e reso le nostre vite sempre più precarie? Nelle crisi si annidano le opportunità.
Credo che sia ora di dare un segnale forte per mostrare che la generazione precaria vuole riprendere in mano le redini del suo futuro. Ti scrivo per chiederti di scendere in piazza con noi il 15 ottobre, a Roma, insieme ai movimenti che in tutto il mondo hanno lanciato la Global Revolution. Come sai, questo 2011 ci ha mostrato il lato peggiore della crisi ma anche la risposta migliore dei popoli, che da piazza Tahrir alla Puerta del Sol di Madrid, dalle piazze di Atene a quelle di Israele, e oggi persino nel cuore della bestia, la stessa Wall Street, hanno cominciato a far vedere la loro rabbia e a immaginare un futuro migliore.
In Italia la situazione è tremenda: un governo che non so se definire criminale o ridicolo, una classe imprenditoriale ricattatrice e nepotista, e una vita sempre più dura per lavoratori e lavoratrici, che ormai si sognano un contratto, una garanzia, moltissimi dei quali non possono nemmeno accedere alla cassa integrazione – in un paese con il 30% di disoccupazione giovanile!
Negli ultimi vent’anni, altro che crisi, la percentuale di PIL che finisce nelle tasche di chi vive di rendita o di profitti è aumentata a discapito dei redditi di chi lavora (noi, il 99%, come dicono a Wall street). La precarietà è un modo per far fare più soldi ai soliti noti e tenerci buoni e zitti. C’è un futuro per noi in un paese senza investimenti pubblici, dove si svendono i beni comuni, senza ricerca, senza garanzie, senza speranza per chi vuole farsi una vita? Ma siccome so che tu non vivi nel chiuso dei palazzi della politica o nei piani alti dei consigli di amministrazione, sono certo che non hai bisogno di sentirti raccontare una situazione che vivi ogni giorno sulla tua pelle.
In questi anni le risposte che abbiamo sentito sono state deludenti. Partiti e sindacati hanno spesso firmato accordi sindacali e leggi che hanno favorito il dilagare della precarietà, salvo poi fare proposte irrealizzabili e populiste, ben sapendo che sarebbero state solo retorica. Se fino a ieri questo ci deludeva, oggi è semplicemente insopportabile, è la dimostrazione che se non ci pensiamo noi, nessuno ci salverà. In fin dei conti non chiediamo molto: un reddito minimo incondizionato per chi non lavora, un salario minimo per chi non è a tempo indeterminato, e un welfare che ci consenta in modo libero e gratuito l’accesso ai servizi sociali e ai beni comuni. Vogliamo poter scegliere una vita decente e senza al collo il cappio di Equitalia.
È ora di dire basta. Gettiamo alle ortiche tutte le divisioni, i piccoli opportunismi politici e le cordate di bandierine. Vorrei che gli unici interessi di cui ci occupiamo fossero quelli dei precari e delle precarie ridotti alla fame, delle famiglie che non ce la fanno più, della democrazia calpestata e della giustizia ridotta a parola vuota. Per questo ti chiedo di venire a Roma il 15 ottobre.