Ancora una volta mi trovo a parlare delle incredibili differenze (e privilegi) di cui i magistrati amministrativi (cioè i giudici del Tar e del Consiglio di Stato), di cui faccio parte, si giovano rispetto ai magistrati ordinari (i giudici civili e penali).
Quanto ai magistrati ordinari, è bene premettere che è notoria la situazione di grave carenza di organico in cui versano i tribunali civili e penali. È altrettanto noto che questa mancanza, unita a una carenza di strutture e a una normativa sulle incompatibilità sempre più complessa, sta creando gravi disservizi agli utenti della giustizia.
Ne sanno qualcosa i giudici, chiamati un giorno sì e l’altro pure a “tappare i buchi” che si creano continuamente. Così, specie nei tribunali più piccoli, accade che un giudice civile debba precipitarsi in tribunale per sostituire il collega penalista malato, o che un giudice fallimentare si veda assegnato per qualche mese anche il ruolo di Gip o di Gup a causa delle incompatibilità che si sono create. Il tutto con gli immaginabili problemi di studio e aggiornamento professionale cui si è continuamente costretti: le leggi cambiano, la giurisprudenza pure. Le udienze durano spesso anche il pomeriggio. I fascicoli vanno studiati. E poi si devono scrivere le sentenze e tutti gli altri provvedimenti. La notte e la domenica ci si aggiorna. Ma, se non si facesse in questo modo, la giustizia italiana già lentissima andrebbe in default, per abusare un termine molto in voga in questo periodo. E quindi, tra un insulto e l’altro da parte della politica, si china la testa e si lavora.
E per i giudici amministrativi?
No, ovviamente no. Non sia mai che il collega della stanza accanto si debba scomodare a scendere al piano di sotto per sostituirne un altro o che il collega che compone lo stesso collegio si prenda la briga di scrivere le sentenze del collega malato, divenendo relatore al suo posto. Le regole infatti sono diverse: si ricorre sempre e comunque all’istituto della missione, che, ovviamente, frutta soldi ai magistrati “volontari” che vanno a sostituirne altri, peraltro in barba al principio del giudice naturale precostituito per legge.
Così, l’organo di autogoverno della giustizia amministrativa autorizza periodicamente la spesa aggiuntiva dei magistrati amministrativi per recarsi in missione in un altro ufficio, per sostituire un collega in una determinata udienza. Il magistrato amministrativo che va in missione ha infatti diritto a 15 giorni di albergo a 4 stelle e pranzi pagati (o ad un equivalente monetario) per ogni giorno di udienza, posto che – è bene ricordarlo – i magistrati amministrativi di udienze ne fanno solo due al mese (i giudici ordinari, invece, in alcuni tribunali anche 4 o 5, ma ogni settimana).
Così può accadere che un giudice del Tar di Roma vada a sostituire un collega assente dal Tar di Firenze, nello stesso giorno in cui un altro collega del Tar di Firenze va a sostituire un altro collega del Tar di Roma. Il tutto, come detto, con viaggio pagato, albergo a 4 stelle per quindici giorni, rimborso dei pranzi e delle cene (o un compenso alternativo in denaro). Ma succede anche che, mentre il collega di Firenze fa l’udienza del collega romano, un altro collega romano è impegnato in uno strapagatissimo incarico extragiudiziario: non sia mai che debba rinunciare ad arrotondare lo stipendio di qualche migliaia (o decina di migliaia) di euro per scrivere qualche sentenza in più…
Non manca poi il giudice amministrativo del centro-sud che va (d’inverno) in missione presso il Tar Val d’Aosta, con un ruolo di 5-10 cause da dividere fra tre giudici: per fare la settimana bianca a spese del contribuente resta da pagare solo lo ski pass. O il giudice meneghino che se ne va in Sicilia o in Sardegna, magari per le udienze di giugno o di luglio. Con albergo e pasti pagati per 15 giorni, per un solo giorno di udienza: si deve solo affittare l’ombrellone.
Sulle ferie (quelle vere) dei giudici amministrativi e sulla libertà che hanno di andarsene in vacanza (anche all’estero) senza nemmeno chiedere le ferie, invece, ho già scritto.