Diecimila rubli valgono circa 230 euro. Almeno secondo la Bce. Per i cambiavalute nostrani, invece, sono molto meno. Se il gruzzolo è rimasto in tasca dopo un viaggio a Mosca e, appena atterrati, si va all’ufficio Forexchange di Malpensa, di euro ne danno solo 171, ben 59 in meno. Ma può andare peggio. In piazza del Duomo a Milano c’è un altro Forexchange che di euro ne offre 159. Mentre nella stazione ferroviaria di Cadorna il centro servizi Falzarano ne dà 156. Più del 32 per cento in meno rispetto a quanto ci si aspetterebbe con il cambio ufficiale. Provare in banca? Niente da fare. Intesa San Paolo i rubli non li tratta. E nemmeno Unicredit, Bpm, Monte dei Paschi di Siena, Bnl, Ubi Banca e qualsiasi altro istituto di credito. Alla faccia dell’amicizia tra Berlusconi e Putin.
Così cambiare una valuta come il rublo russo diventa un salasso. E lo stesso vale anche per il diramo di Dubai, la lira turca o lo yuan cinese, solo per fare qualche esempio di monete che, per turismo o per lavoro, prima o poi può capitare di avere nel portafoglio. “I cambiavalute non hanno alcun limite da rispettare nelle commissioni applicate – fa sapere la Banca d’Italia -. Sono il mercato e la concorrenza che dovrebbero determinare il prezzo del servizio”. Insomma, i costi seguono il principio della domanda e dell’offerta. E meno la valuta è commercializzata, più si alzano le commissioni.
Le banche, poi, non vengono in soccorso al consumatore, visto che in cassa ormai hanno solo le valute principali: dollaro Usa, sterlina inglese, franco svizzero, yen giapponese e poche altre. “L’attività di cambio è un servizio liberamente prestato dagli intermediari bancari – aggiungono da via Nazionale – . Se l’istituto di credito non è in possesso della valuta richiesta, non è obbligato a reperirla”. Ma Elio Lannutti, presidente dell’associazione dei consumatori Adusbef e senatore dell’Idv, non ci sta: “Le banche – accusa – danneggiano i consumatori, non solo nella gestione arrogante del credito e del risparmio, ma anche non fornendo un servizio che dovrebbe essere pubblico, come il cambio di valute”. Per Lannutti non sono nemmeno giustificabili le commissioni elevate applicate dagli uffici che cambiano banconote straniere: “Viene chiamato mercato – afferma – quello che è una rapina”.
Ogni cambiavalute ha la sua strategia. Il negozio Forexchange in piazza del Duomo, per i rubli, applica un differenziale sul cambio del 13,50 per cento, poi una commissione del 19,70 per cento e infine un costo fisso di servizio di 4,90 euro. Per un totale che si avvicina al 31 per cento della somma da cambiare. “Sulle valute rare incidono i costi di trasporto e di stoccaggio. E poi c’è il costo per essere presenti in un luogo di prestigio, come un aeroporto o una piazza centrale”, spiega Sergio Enrione, responsabile antiriciclaggio di Maccorp Italiana, l’azienda che gestisce gli sportelli Forexchange e che è leader del settore in Italia, con un giro d’affari di oltre 225 milioni di euro. Quello della Maccorp Italiana è quasi un monopolio a Milano, con otto sportelli a Malpensa, tre in stazione Centrale, due a Linate e due in centro.
Per i concorrenti rimane poco. Oltre al centro servizi Falzarano di Cadorna, c’è uno sportello della Yex Change in piazza del Duomo, che per 10mila rubli dà 177 euro. Un po’ nascosti ci sono poi due negozi vicino a Piazza Affari che con le loro insegne al neon hanno un sapore d’altri tempi: Cambival di via Cantù per 10mila rubli dà 200 euro, ma l’affare si fa all’Antico cambio al Cordusio, con 217 euro. Un turista russo, mentre cerca la Borsa per dare un’occhiata al dito medio di Cattelan, potrebbe imbattersi per caso in uno dei due. Altrimenti, se ha finito gli euro e vuole trovare il cambiavalute più conveniente, rischia di perderci un giorno intero. Senza avere più il tempo per visitare Duomo e Cenacolo.