Si è conclusa dopo molti mesi una singolare vicenda giudiziaria. Don Paolo Spoladore, prete e cantante, autore per il suo pubblico di molti pezzi di successo, fondatore di una casa discografica che ha fatturato 900 mila euro in un anno, trascinatore di folle cattoliche, adorato dai suoi parrocchiani, è padre di un bambino di nove anni. Lo ha accertato il tribunale dei minori di Venezia attraverso la prova del dna. E’ la prima volta in Italia che la giustizia civile dribbla il concordato e certifica una paternità ecclesiastica.
“Donpa” è l’epigono di una generazione di sacerdoti-rock che hanno tentato di vivere la propria missione al tempo dei media commerciali. Il primo fu il cosiddetto Padre Cionfoli (in realtà mai ordinato) al festival di San Remo del 1982. Le canzoni di Spoladore sono effettivamente più moderne rispetto a quel pop parrocchiale anni Settanta e le sue lectio hanno sicuramente ispirazione e profondità. E anche la sua vicenda umana forse è un passo avanti rispetto a quell’epoca. Come sempre, molti hanno consigliato alla madre del bambino di vivere nel silenzio e nella preghiera la sua maternità. Di non aprire lo scandalo, di non squarciare il velo che protegge il recinto sacro dall’umano fallibile e incontrollabile. Lei invece ha seguito il vangelo alla lettera: “Non c’è nulla di segreto che non debba essere rivelato, quello che udite nelle orecchie predicatelo sui tetti”.
E’ una storia esemplare, anche per il carisma del personaggio, ma tante sono quelle che non conosciamo. Tanti preti, misconosciuti dalla Chiesa, hanno avuto il coraggio di vivere fino in fondo la loro storia. La diocesi della cattolicissima Padova in particolare ha contato negli ultimi anni due casi eclatanti di preti, oltre a quello di Don Paolo: Don Sante Sguotti e Don Federico Bollettin che si sono assunti le proprie responsabilità di fronte alla comunità.
Questa è la parola chiave di questa storia, responsabilità, davanti a Dio e davanti agli uomini. Concetto indebolito e giunto cadavere nella teologia morale della chiesa attuale. Perchè, come accade spesso di constatare, il fedele cattolico di questi tempi, pur non volendolo, è chiamato a cedere quote della propria consapevolezza morale. Al momento della sua formazione demanda senza volerlo ad un mediatore, prete o papa che sia, la golden share della propria coscienza. Salvo poi ritrovarsi nella sua vita adulta e personale in una inestricabile selva di contraddizioni etiche che hanno come uniche vie di fuga la santità o l’ipocrisia. Doppia morale di cui è piena, non a caso la politica. L’assenza di questo “primato dell’individuo” mina alle fondamenta il messaggio ostacolando a priori un pieno rapporto personale con Dio e provoca le convulsioni di una chiesa in crisi morale e di consenso. Quello che si predica sull’uomo in parte non è vero, o almeno è reticente. La chiesa adotta un’ antropologia distorta, su alcuni temi perversa.
Ai tanti amici smarriti di “Donpa” bisognerebbe dire che non ha senso dubitare dell’autenticità delle sue parole e delle sue canzoni, e comunque per fortuna a noi non è dato sapere il grado di verità con cui le ha pronunciate e cantate. Ma è necessario anche sapere che questa storia è più vera ancora di qualsiasi preghiera. L’amore per quel bambino, figlio di Dio e figlio di un uomo, ha più significato di tutta la teologia del mondo e di qualsiasi libro sacro.