Il piano di ristrutturazione effettuato questa estate prevedeva la sostituzione dei bond ormai in default con nuove obbligazioni garantite direttamente dallo Stato. Ma, secondo il Sole 24 Ore, nessuno ha avvisato i correntisti di casa nostra
Non meno di 150 (ma potrebbero essere anche 200) risparmiatori italiani che avevano investito nelle obbligazioni emesse dall’istituto dublinese Bank of Ireland hanno visto il proprio capitale azzerarsi completamente e senza preavviso nel corso di questa estate. E’ questo il disastroso risultato del concambio effettuato sui bond emessi a suo tempo dall’istituto irlandese, tecnicamente fallito con lo scoppio della crisi e salvato dalla bancarotta grazie all’intervento statale. Lo riferisce in esclusiva il Sole 24 Ore nella sua edizione odierna.
Il piano di ristrutturazione realizzato questa estate prevedeva la sostituzione dei bond ormai in default con nuove obbligazioni garantite direttamente dallo Stato. Questo concambio, ovviamente, avrebbe comportato una riduzione dei rendimenti originari ma le perdite, di fatto, sarebbero state limitate. L’offerta, per così dire, era di quelle che non si possono rifiutare. I risparmiatori che non avessero aderito alla proposta entro l’8 luglio scorso, infatti, si sarebbero ritrovati a possedere obbligazioni con un valore nominale ridotto a 1 centesimo di euro per ogni mille investiti. Esattamente quello che è accaduto ai risparmiatori italiani.
E’ impossibile, ovviamente, pensare che di fronte alla totale assenza di alternative, i risparmiatori di casa nostra avrebbero rifiutato l’offerta. Peccato però, ed è questo il vero scandalo, che nessuno a Dublino si sia premurato di avvertirli. L’operazione, approvata a suo tempo dalla Commissione europea, è stata condotta da Bank of Ireland senza la minima pubblicità. L’istituto, osserva infatti Il Sole, “non ha chiesto l’autorizzazione alla Consob per pubblicare un prospetto italiano”, scegliendo, al tempo stesso, di aggirare la normativa europea destinando “l’offerta di scambio solo a chi possedesse obbligazioni per un importo superiore ai 50mila euro”.
Questa limitazione, in ogni caso, avrebbe potuto essere aggirata a sua volta dagli stessi risparmiatori che, di fronte al rischio di perdere tutto, avrebbero potuto optare per almeno un paio di soluzioni: consorziarsi per raggiungere un importo superiore alla soglia imposta, oppure cedere a prezzo di sconto le obbligazioni sul mercato. Solo che le banche italiane, avvertite dei dettagli sul concambio dalle colleghe irlandesi che ad esse si erano appoggiate per il collocamento originario dei titoli, non hanno pensato di informare i loro clienti riservandogli, quindi, un destino a dir poco beffardo: contribuire al salvataggio di una delle principali banche speculative d’Irlanda ritrovandosi, in cambio, a detenere carta straccia. Gli istituti italiani, l’Ue e la Consob si sono chiamati fuori ma non si esclude, a questo punto, che possano essere trascinati in tribunale da un’azione legale collettiva.
Quella attraversata da Bank of Ireland è una traiettoria emblematica nella recente storia finanziaria del Paese. Protagonista, al pari delle sue omologhe, di quel decennio d’oro vissuto da Dublino tra la seconda metà degli anni ’90 e l’era della grande espansione pre crisi, l’istituto è stato letteralmente stroncato dall’improvviso scoppio della bolla immobiliare e dalla conseguente difficoltà nel reperimento di credito. All’inizio del 2007, le sue azioni erano scambiate a quota 18 euro. Oggi valgono circa 10 centesimi ciascuna. In mezzo l’intervento dello Stato, che, dopo lo scoppio della crisi, si è visto costretto ad entrare massicciamente nella proprietà degli istituti privati. Ma se nel caso di altri colossi nazionali come Allied Irish e Irish Nationwide si è trattato di una vera e propria nazionalizzazione (con l’acquisizione di oltre il 90% delle quote), per Bank of Ireland il destino è stato diverso.
Il governo di Dublino non ha mai controllato più del 36% delle azioni rinunciando, di conseguenza, all’effettivo controllo della proprietà e delle operazioni dell’istituto. Complice anche la svalutazioni dei titoli (oltre che degli assets in portafoglio), lo Stato ha successivamente perseguito una sorta di exit strategy: a luglio, l’ingresso di nuovi investitori privati ha fatto scendere il livello della partecipazione statale a poco più del 15%. Due giorni fa, l’agenzia di rating Moody’s ha declassato di due notches (da Baa3/Prime-3a a Ba1/Not-Prime) il giudizio sulla filiale britannica della banca valutando negativamente le prospettive. Nello stesso giorno, l’istituto irlandese ha piazzato sul mercato 1,1 miliardi di euro in obbligazioni garantite, particolare non da poco, dai crediti immobiliari detenuti nel Regno Unito.