Società

Indignados, la rivolta globale senza “piattaforma politica”

Il movimento di protesta che ha acceso le piazze di mezzo mondo nasce dal crack mondiale. Una rivolta economica che identifica nel nemico banche e finanza mondiale. E che non crede nelle ricette dei governi per far fronte alla minaccia di default. Napoleoni: "Sono i figli della crisi"

Dalla Grecia alla Spagna, passando per l’America, Israele e fino all’Italia. Oggi centinaia di migliaia, forse milioni, di cittadini scenderanno in piazza per esprimere rabbia e indignazione verso i loro governi e contro il sistema economico mondiale. “Siamo il 99 per cento”, urlano i giovani di tutto il mondo, da Wall Street fino alla sede romana di Bankitalia. “E’ una protesta generazionale senza precedenti”, dice Loretta Napoleoni, docente ed esperta di economia, che sottolinea come il collante delle proteste, da un capo all’altro del Pianeta, sia la ribellione ai rimedi imposti per fronteggiare il crack mondiale dell’economia.

E’ quella parte di popolazione maggiormente colpita dalla crisi che non nutre più fiducia nei propri leader politici, accusati, come in Grecia, di aver accettato le ricette lacrime e sangue della Banca centrale europea e delle istituzioni internazionali. “Non è possibile pagare un debito così grande se significa imporre un’austerità destinata a distruggere la società”, sostiene Aris Chatzistefanou, giornalista greco e regista di Debtocracy, il documentario che grazie alla rete ha fatto il giro del mondo diventando una sorta di manifesto politico degli indignati. Opinione condivisa anche da Napoleoni che sottolinea come la rabbia che invaso le piazze europee, americane e, ancora prima, quelle arabe, sia in primo luogo economica. “Sono i figli della crisi – sostiene l’economista – Quelli tagliati fuori dal sistema, relegati al ruolo puro e semplice di consumatori o, se va bene, di lavoratori precari e rigorosamente senza diritti”.

Ma cosa vogliono esattamente gli indignados? A differenza dell’ultimo grande movimento mondiale, quel “popolo di Seattle” che a partire dal 1999 ha acceso le piazze andando a contestare i meeting delle organizzazioni internazionali come G8, Fmi e Banca mondiale, loro non hanno in mente “un altro mondo possibile”. Si limitano a dire che l’attuale sistema non va bene e va abbattuto. E a dimostrare l’ingiustizia delle regole economiche e sociali che governano il mondo bastano le loro biografie. Come spiega Napoleoni, “gli indignati non vogliono cambiare il mondo, non hanno una proposta politica alternativa organica come i loro ‘cugini’ di Seattle e Genova. Al contrario sono i figli del cambiamento in atto. Che loro contestano radicalmente”.

Le rivendicazioni hanno poi dei connotati specifici a seconda dei paesi nei quali sono nate le proteste: ad esempio in Spagna gli indignados sono concentrati sulla legge elettorale, negli Stati Uniti le critiche maggiori sono rivolte al ‘sistema di Wall Street’, mentre in Israele invece si contesta il caro-casa.

Ciò che rende simile quello che sta accadendo a New York ai fatti del Cairo o di Tunisi è la presa di coscienza di essere, o quantomeno di rappresentare, la maggioranza dei cittadini di quel determinato paese. Di avere avuto la forza e il coraggio di portare in piazza istanze, bisogni e desideri della gente comune. Quella che paga il prezzo della crisi. Ed ecco che parole d’ordine come “riprendiamoci la democrazia” o “fuck the austerity” sono uscite dalla rete dei social network e hanno contagiato sempre più persone. Giovani e non.

Altro tratto distintivo della protesta è la distanza dalla politica istituzionale, anche da quei partiti di sinistra che dovrebbero rappresentare i naturali interlocutori per una serie di rivendicazioni, a partire dalla richiesta di maggiore giustizia sociale. “Identificano il Palazzo come il banchiere corrotto di Wall Street che si arricchisce sulle rovine delle famiglie”, sostiene Napoleoni. Né i partiti sono riusciti, al di là di qualche dichiarazione di circostanza, a interpretare e farsi carico delle richieste di questa generazione. “Non c’è base per un collegamento fra politica e piazza – continua Napoleoni – Il loro metodo organizzativo è basato sull’architettura di Internet: senza centro né periferia”. E, secondo la docente, è proprio la rivoluzione culturale generata dalla Rete che prima ha acceso la miccia della rivolta sociale, poi l’ha resa planetaria.

Ora c’è da chiedersi fino a dove questo movimento potrà spingersi e che cosa riuscirà a portare a casa. Sabato 15 potrebbe essere essere il turning point per una seconda fase, più matura di questo nuovo “movimento dei movimenti”.