Solo il 3% di quanto chiesto dall'Onu è arrivato ad Islamabad. Milioni di persone a rischio fame e malattie. E nelle tendopoli le organizzazioni religiose rischiano di discriminare nella distribuzione dei presìdi alimentari
Che fine hanno fatto i milioni di aiuti promessi dalla comunità internazionale per l’inondazione del Pakistan? Se lo chiede Oxfam, un network attivo in cento Paesi contro povertà e ingiustizia, che avverte: “Se gli aiuti non arrivano subito, milioni di persone ne pagheranno le conseguenze”. A oggi sono stati stanziati solo 11,5 milioni di dollari, il 3% dei 357 chiesti con urgenza dall’Onu.
Secondo le ultime statistiche, si parla di 8,8 milioni di pakistani colpiti dalle alluvioni monsoniche nella sola regione di Sindh. Un cifra che da sola supera le persone colpite dal terremoto di Haiti nel 2010 e dello stesso Pakistan nel 2005. Qualcosa come 215 milioni di dollari di danni, cifra purtroppo destinata al rialzo, e circa 6,8 milioni di ettari di terreno inondato da un metro d’acqua piovuto in tre settimane. A Badin, giusto per fare un esempio, sono caduti 300 millimetri di pioggia in appena due giorni, quando la media stagionale è di 60. Insomma, 2.600 villaggi sono stati letteralmente sommersi con i senzatetto che ormai non si contano più.
Nonostante la situazione da giorno del giudizio gli aiuti internazionali continuano ad arrivare con il contagocce: appena 1,30 dollari per sfollato nei primi 10 giorni contro i 3,20 arrivati per l’inondazione del 2010. Certo in quell’occasione i danni furono forse maggiori, con 21 milioni di sfollati in un quinto del Paese, ma il conto dell’alluvione di quest’anno resta tuttora aperto.
La scusa della crisi economica non regge, visto che il terremoto di Haiti è scoppiato nel 2010, quando la crisi c’era già. In quell’occasione in soli dieci giorni arrivarono 742 milioni di dollari freschi freschi. Calcolatrice alla mano e visti gli 1,5 milioni di sfollati, si trattò di circa 495 dollari a persona, un trattamento ben diverso da quello riservato attualmente al Pakistan. Un atteggiamento non diverso dal passato, visto che nei primi dieci giorni successivi al terremoto del 2005 la comunità internazionale stanziò circa 3,5 milioni di dollari (70 dollari a vittima). Ma allora cosa è cambiato oggi?
Oxfam non se ne fa una ragione e invita la comunità internazionale a mettersi una mano sul cuore e l’altra sul portafogli al più presto. “Ancora una volta i fondi sono troppo scarsi e troppo lenti”, attacca Neva Khan, direttrice Oxfam in Pakistan. “Milioni di innocenti, soprattutto donne e bambini, hanno bisogno disperatamente di generi di prima necessità, come cibo, acqua potabile, cure mediche e riparo. Se non interveniamo subito si scatenerà un’altra emergenza sanitaria dalle conseguenze disastrose”. Le inondazioni di quest’anno hanno infatti “danneggiato la maggior parte dei raccolti di riso, canna da zucchero e cotone proprio prima della stagione più dura”.
E mentre la comunità internazionale nicchia, nelle tendopoli si affaccia lo spettro dell’estremismo religioso. Secondo la stampa pakistana, alcune organizzazioni, come Al Khidmat legata al principale partito islamico pachistano e Jamaat-e-Islami, potrebbero attuare discriminazioni nella distribuzione degli aiuti solo per motivi religiosi, ad esempio tagliando fuori gli appartenenti alla casta Dalit, una delle comunità indù del paese. Inutile l’azione del governo di Islamabad. Nonostante il Primo ministro pachistano, Yusuf Raza Gilani, abbia disertato l’ultima riunione dell’Onu per “visitare le zone colpite dalle alluvioni e seguire di persona i soccorsi”, tra i pachistani colpiti dal cataclisma c’è sfiducia sulla reale efficacia del governo, a corto anch’esso di fondi a causa di crisi economica e della perenne e costosa guerra ai talebani. “La gente sta vivendo in situazioni disperate. Ogni giorno che passa la vita di sempre più persone viene messa a repentaglio. La nostra è una battaglia contro il tempo”, avverte Oxfam.