Andata e ritorno da Piazza Duomo alla Borsa per gli indignati di Milano, che si danno appuntamento alle 15 a pochi metri dal cuore della finanza italiana per una manifestazione che, a differenza di quanto accade a Roma, è pacifica e vivace. Sono in centinaia a confluire sotto la Madunina, ispirati da un solo motto: “Noi la crisi non la paghiamo”. Oltre ai giovani manifestanti, studenti, precari e lavoratori a tempo indeterminato arrivano i simpatizzanti di Critical Mass, il movimento che ogni giovedì organizza una biciclettata per le strade della città, “strumento di lotta” per rivendicare più spazio per chi viaggia su due ruote.

Davanti alla Borsa, Gerardo, 36 anni, attacca due volantini alla statua del dito medio di Maurizio Cattelan con la scritta: “Ora paghino banche e speculatori”. Spiega di volere partecipare all’indignazione di oggi perché “non è giusto che il debito lo paghino i comuni cittadini perché la responsabilità è della Banca Centrale e della Banca d’Italia” e aggiunge che le istituzioni finanziarie “non possono decidere in modo non democratico a chi accollare i risultati della crisi”.

Ci sono anche stranieri che hanno deciso di unirsi alla protesta, tra cui Shirin, 34 anni nata in Siria e cresciuta in Italia, e Manon, parigina di 20 anni, che trova molte affinità tra le istanze del movimento studentesco francese e quello italiano. In piazza Duomo si ritrovano in cerchio con i megafoni e senza un coordinamento centrale: vorrebbero dividersi in gruppi di lavoro per discutere di economia e decrescita felice, disegnano cartelli e volantini simbolo della protesta (“People before profit”, “O le borse o la vita”) e propongono di guardare il documentario di Michael Moore “Capitalism: a Love Story”. Alcuni di loro incitano al corteo verso Piazza Affari che, però, non è autorizzato. Ma alla fine si fa e gran parte della folla si dirige verso la Borsa. Le file più vicine al cordone delle forze dell’ordine invitano i poliziotti a unirsi a loro e gridano “noi la scorta non la vogliamo”. Vogliono trasformare “la rabbia in forza” e ripetono di non vanificare la protesta con atti violenti. E c’è anche delusione per quanto sta accadendo nelle strade della Capitale. “Spero che a Roma gli indignati riescano a isolare i black bloc”, osserva Gregorio, 34 anni, architetto precario, e gli fa eco Giovanna, 28 anni: “Gli atti violenti snaturano una protesta come questa, che non vuole scagliarsi con violenza contro nessuno ma dimostrare che il sistema globale deve cambiare”.

Davanti ai caschi schierati all’ingresso della Borsa cantano e ballano, mantenendosi a debita distanza dalle forze dell’ordine che si limitano a presidiare la piazza. Poi decidono di tornare verso il Duomo e prima sostano a gambe incrociate in Piazza Cordusio, dove ha sede UniCredit accompagnati da cori contro la crisi e rulli di tamburo.

Anche se c’è chi si aspettava un’organizzazione migliore: “E’ difficile fare manifestazioni senza un coordinamento. Forse se questo ritrovo durasse qualche giorno, le persone riuscirebbero davvero a creare gruppi di lavoro e a elaborare idee”, spiega Valentina, 20 anni, studentessa universitaria. Ma per Stefano, precario del settore hi-tech di 52 anni, queste sono le prove generali per una nuova forma di democrazia che prende forma attraverso la Rete: “E’ il web che deve crescere per dare una struttura a questa indignazione, perché nessun politico può rappresentarla”. Anche Arianna, 31 anni e in cassa integrazione, sente che la protesta è acefala, ma non ritiene che sia un fattore negativo. E cita Gandhi: “‘Quando il popolo farà strada, i leader si accoderanno’, diceva il leader pacifista per eccellenza. E la politica dovrebbe riflettere sulla nostra indignazione”.

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