Mia figlia ieri sera è tornata a casa con le lacrime agli occhi. Con un misto di rabbia e sconforto. Perchè ha visto una magnifica manifestazione allegra e colorata, nella quale si era identificata e era riuscita a trovare finalmente una voglia di riscossa. Era un appuntamento importante e, mi spiegava, fino alla fine di via Cavour era stata proprio bene con i tantissimi giovani e meno giovani che sfilavano attorno a lei.

La sua rabbia, ieri sera, era diretta nei confronti di quelle poche centinaia di imbecilli che, organizzati e ben preparati, hanno trasformato una bellissima manifestazione in un campo di battaglia e uno sfogo alle loro frustazioni.

E’ difficile per un genitore rispondere allo sconforto della propria figlia. Non si trovano le parole adatte, soprattutto quando vedi che rappresenta benissimo anche il tuo stato d’animo.

Per questo le ho detto che era bene dormirci sopra. E le ho cercate stanotte, quelle parole, sapendo che è fondamentale tentare di far tornare, nonostante le macerie di ieri, la speranza.

Ed eccomi qui, questa mattina, a spiegarle  che io mi sento sconfitto come poche altre volte è accaduto nella mia vita. Che la ferita è tanto più grande perchè finora avevamo avuto sempre l’illusione (e la presunzione) che se la politica non era riuscita finora a rappresentare bene le istanze e le esigenze dei cittadini, fuori dai palazzi c’era una volontà e una esigenza di riscossa e di cambiamento della quale tenere conto. Una enorme energia positiva di persone che preferiscono dedicare il loro tempo ad una causa comune, cittadini e cittadine che, nonostante le delusioni ricevute dalla politica in questi anni, ancora sperano in un cambiamento. Ma, piuttosto che aspettare che il cambiamento arrivi dall’esterno, hanno deciso di prendere in mano l’iniziativa, non solo per gridare forte il loro malcontento, come ieri nella prima fase della mobilitazione,  ma anche per porsi in maniera positiva e propositiva.

Perchè se lasciamo cadere la speranza ora, è la fine della democrazia. E allora non possiamo consentire che un 1% di violenti e repressi possa condizionare il 99% dei cittadini nonviolenti che non hanno nessuna intenzione di farsi reprimere la loro voglia di partecipazione e vogliono lanciare collegamenti con i loro simili.

Del resto noi siamo quelli che hanno votato Sì ai referendum vinti a giugno e hanno contribuito a raccogliere più di un milione e 200 mila firme in un mese per abolire questo sistema elettorale. Siamo quelli che in tutti i nostri ambiti lanciano ponti verso movimenti, sindacati, partiti e associazioni perchè sappiamo bene che senza convergenze e unità non riusciremo a cambiare questo Paese. E questo dovremo continuare a fare.

Ho raccontato a Letizia che io, in piazza San Giovanni, ero con i ragazzi degli Indignati di Roma e che mentre c’erano gli scontri più cruenti, noi eravamo lì con le nostre mani alzate che gridavamo “nonviolenza”.

E che poi c’è stata una assemblea che è durata fino a notte fonda, nella quale si è deciso che la mobilitazione contro la crisi economica proseguirà, con le stesse modalità pacifiche, allegre e colorate che hanno contraddistinto le iniziative di lotta nelle scorse settimane.

Lei mi ha guardato e mi ha chiesto: “Allora c’è una speranza che tutto non sia finito ieri?”

Certo, le ho risposto, abbiamo il dovere di crederci ancora.

Se non ci proviamo, questa sarà la più grande vittoria per i violenti e coloro che li hanno alimentati e tollerati. Ma dobbiamo imparare la lezione: una grande manifestazione non si improvvisa e non la si può lasciare in mano a una banda di teppisti. E poi se alziamo lo sguardo vediamo che c’è stata una grande mobilitazione in tutto il mondo, pacifica e nonviolenta, non possiamo guardare solo il nostro piccolo cortile.

La nostra unica possibilità è ripartire, o torneremo sconfitti e rassegnati aspettando che cambi tutto per non cambiare niente.


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