Il botta e risposta tra Caterina, 28 anni, e l'editore della rivista 'Flash art' che offriva tirocini senza rimborso spese è diventato un caso in Rete. La ragazza racconta: "In Italia lavoravo in nero per 600 euro al mese. A Londra ho un lavoro di responsabilità". E scrive a Napolitano: "Ci aiuti a ritrovare le nostre speranze"
Ha scritto un’email di protesta a un editore che offriva uno stage senza rimborso spese, adatto “solo – recitava l’annuncio – a chi può mantenersi per parecchi mesi a Milano”. E in tutta risposta, Caterina De Manuele, 28 anni e una laurea al Politecnico di Milano in Design degli interni con 109 su 110, si è presa della “mignotta”. Eppure lei non lo voleva nemmeno quel posto a ‘Flash art’, un’importante rivista d’arte (“la prima in Europa”, vanta il sito online). Perché da mesi ha già un contratto vero.
Lo ha ottenuto prima in uno studio di architettura d’interni in Germania, poi in Inghilterra. Non in Italia, dove al massimo era arrivata a prendere 600 euro al mese. In nero. L’annuncio di Flash Art le ha fatto ripensare a quel periodo. Si è indignata quando ha letto: “Teniamo a precisare che, ahinoi, per almeno 8-10 mesi, il rimborso spese per uno stagista che deve imparare tutto è minimo, quasi inesistente”. Poco più in là la giustificazione, firmata in prima persona dal direttore ed editore, Giancarlo Politi: “D’altronde lo stage, almeno da noi, vi permette di apprendere al meglio una professione”. Caterina si è ricordata di quando spulciava le offerte di lavoro una a una. “Mi sono laureata a ottobre 2008. Subito dopo l’inizio della crisi – racconta a ilfattoquotidiano.it -. Ho infilato curricula in ogni mail box esistente”.
Il colloquio arrivava solo in pochissimi casi. E spesso era una delusione: “Mi chiedevano di lavorare gratis nel periodo di prova. Domandavo: ‘Per quanto tempo? Due-tre mesi o cinque-sei?'”. Risposte vaghe. Così come nessuna certezza c’era sul dopo: “Al massimo potevo aspirare a una finta partita Iva”. Alla fine l’avevano presa per uno stage gratuito. Poi qualche mese di lavoro senza contratto regolare in uno studio di architetti nel capoluogo lombardo. Quando ha visto l’annuncio, Caterina si è arrabbiata, “perché veniva spacciato per stage un lavoro da editor, che richiedeva una persona già formata”. Così ha deciso di scrivere un’email a Politi.
Gli ha fatto una domanda diretta: “Perché i miei genitori o chi per essi dovrebbero pagare perché io lavori per lei?”. Poco dopo la risposta. Piccata (leggi lo scambio di email). “Caterina – ha scritto l’editore – se tu fossi in grado di lavorare per noi ti offrirei subito, anzi, prima, due o tremila euro al mese. Prima impara a scrivere, a leggere dai siti e giornali del mondo, a fare una notizia in dieci righe, a fare l’editing di un testo, a impaginare con inDesign e poi potrai avanzare pretese”. E ancora: “Lo sai cosa dice Tronchetti Provera? Lavorare oggi a buoni livelli è un lusso. Se uno non lo capisce vada a lavorare al Mac Donald”. Fino al post scriptum: “Chiedi allo Stato di aiutarti. La mia azienda non è di beneficenza. E tu cerchi la beneficenza”.
Niente di più falso, per Caterina. Se ci si è laureati a piani voti, si sanno usare almeno dieci software tecnici e si parlano quattro lingue, non è certo la beneficenza quella che si cerca. Glielo ha detto, a Politi. E poi gli ha scritto: “La beneficenza se la faccia fare lei, povero indigente che non può nemmeno pagare un povero stagista il minimo”. La replica è stata un insulto: “Ora anche le mignotte debbono parlare 4 lingue, conoscere l’arte e inDesign. Il globalismo fa miracoli”. Il botta e risposta tra Caterina e il direttore di Flash Art è finito su Facebook. Poi in Rete è iniziato il tam tam. Lo scambio di email è stato ripreso dalla pagina sul social network del Manifesto dello stagista, da Lettera Viola e dalla Repubblica degli stagisti. Molte le proteste piovute sulla bacheca Facebook di Flash Art. Tanto che Politi ha pubblicato sul sito della rivista un nuovo messaggio, accusando Caterina di avere manipolato e modificato una sua risposta.
Il rimborso spese da “quasi inesistente” è diventato di 350-500 euro al mese. Mentre chi aveva protestato è stato definito “un utente un po’ frustrato che ignora il moderno concetto di stage”. Ma il “moderno concetto di stage” non coincide con quello che Caterina ha trovato fuori dall’Italia. “Nel novembre 2009 ne ho iniziato uno a Stoccarda, in Germania. Pagato 750 euro al mese”. Poi le hanno fatto il contratto e presto sono arrivate altre opportunità. Così, due mesi fa, Caterina è partita di nuovo, alla volta di Londra. A fine ottobre terminerà il periodo di prova. E se tutto andrà bene le verrà proposto un contratto a tempo indeterminato da 32mila sterline all’anno (oltre 36mila euro). “Da quando lavoro all’estero – racconta – seguo personalmente il cliente, partecipo al processo creativo insieme a lui e ai miei superiori”.
Non nasconde la propria soddisfazione Caterina, consapevole di avere dovuto lasciare la sua casa, i suoi genitori, il suo Paese. E i suoi amici rimasti in Italia. E’ stato anche per loro che domenica scorsa ha scritto a Giorgio Napolitano (leggi la lettera): “I miei amici fanno tre lavori per mantenersi, buttano giù rospi incredibili e continuano a rimboccarsi le maniche nonostante centinaia di porte in faccia”. Poi una preghiera: “Signor presidente, ci aiuti a ritrovare le nostre speranze. Non lasciateci soli”. Perché nessuno offra più lavori non pagati. Anche da noi.