A Santiago del Cile i ragazzi del movimento studentesco non fanno altro che parlare della serie televisiva Los Archivos del Cardenal, la cui ultima puntata è stata trasmessa qualche giorno fa. Per il Cile si riapre una delle più profonde ferite: quella delle violenza della dittatura. È la prima volta che le crudeltà del governo Pinochet vengono raccontate sul piccolo schermo e con uno stile nazionalpopolare, quasi fosse una soap opera. Dodici puntate seguitissime, anche se mandate in onda alle 11 sera e dopo vari tentativi di censura da parte della destra più estrema.

La fiction, che si può guardare interamente online, racconta la vera storia della Vicaría de la Solidaridad, una istituzione voluta dal cardinale Raúl Silva Henriquez, per conto della quale un gruppo di avvocati, intellettuali e preti cominciarono ad indagare sugli omicidi e sulle torture di stato all’indomani del golpe di Pinochet. Rischiando la propria vita e, in alcuni casi, perdendola.

“L’idea è nata è dalla sceneggiatrice Josefina Fernández, figlia di uno degli avvocati sopravvissuti della Vicaría, oggi quarantenne. Quattro anni di lavorazione poi finalmente la prima puntata questa estate. In perfetta e casuale coincidenza con l’inizio del movimento studentesco”, spiega il regista Nicolás Acuña, anch’egli 40enne e lui stesso testimone di uno dei fatti di violenza raccontati nella serie. “Avevo 13 anni e dalla finestra della mia classe ho assistito al sequestro di due professori del partito comunista all’entrata della scuola. Vennero ritrovati sgozzati qualche giorno dopo. Era il 1985, gli ultimi anni della dittatura, ed è stato una specie di colpo di coda del regime. A questo episodio abbiamo dedicato l’ultima puntata”, proiettata in anteprima nell’arena del Museo della Memoria e alla quale erano presenti molti figli delle vittime. Terminata la proiezione, il pubblico, commosso, ha ricordato gli scomparsi, cantando canzoni di Victor Jara e rispondendo “presente!” ogni volta che la voce di un sopravvissuto invocava il nome e il cognome di un desaparecido.

Ma la cosa che più ha sorpreso è stata la grande presenza dei giovani del movimento. Forse più di seicento. Gli stessi che la mattina avevano sfilato pacificamente per le vie di Santiago rivendicando una educazione gratuita e un Cile più giusto. Come ogni giovedì da quattro mesi a questa parte del resto. “Le reazioni del pubblico alla nostra serie sono state le più disparate” precisa Acuña “e danno la misura di quello che è oggi il Cile. Ovviamente la destra pinochetista, al governo con Piñera, si è opposta in tutti i modi alla messa in onda. Come era ovvio. Ma la cosa più interessante è stata l’attenzione da parte del movimento e la grande voglia di questi ragazzi di fare i conti con il passato, di elaborare una volta per tutte il dramma collettivo della dittatura.

È come se oggi questa loro lotta fosse duplice e in entrambi casi contro due tremende eredità del regime di Pinochet. Su un piano concreto questi ragazzi vogliono cambiare il modello neoliberale che la dittatura ci ha lasciato e che è alla base della maggior parte delle ingiustizie sociali di questo paese. Su un piano simbolico vogliono risarcire il paese di tutta la violenza subita con Pinochet, restituendo un paese finalmente senza più paure. I fantasmi della repressione aleggiano ancora, e questi ragazzi hanno il coraggio di affrontarli. Penso che ci siano finalmente le condizioni di una vera e propria cultura della memoria.

Il mio prossimo lavoro? Una serie tv storica sulla conquista degli spagnoli, che racconti le violenze dei conquistadores sugli indigeni mapuche. Gli stessi che oggi subiscono le vessazioni delle multinazionali e dei capitalisti, a cui fanno gola le loro terre. Un’altra storia di violenze che non è non è mai terminata”.

Il Fatto Quotidiano, 19 ottobre 2011

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