“Per un pugno di voti in Molise vince il candidato di destra, inquisito, grazie ai voti di Grillo, tolti al centrosinistra“. Queste parole, sature di lucidità e autocritica, le ha dette un leader carismatico, ficcante e geniale: Dario Franceschini. A cui, ovviamente, non è venuto in mente che: a) se candidi un ex Forza Italia improponibile, a sinistra non ti votano; b) il voto non è qualcosa che si esige, ma che si conquista; c) il Pd perde perché è il Pd. E ha leader come Franceschini.
Ci risiamo. Si è rifatta viva, in tutta la sua arroganza sdentata e spuntata, la pretesa superiorità morale dei gerarchi piddini. I quali, non paghi di sbagliare tutto da quando sono nati, e di fare più danni di Muntari nell’immortale Catania-Inter 2009/10, hanno pure questa bizzarra ambizione: quando si va al voto bisogna votarli. E se non li voti sei colpevole di lesa maestà.
E’ il Teorema Bresso, divenuto poi Teorema Pisapia e ora Teorema Molise. O più in generale, Teorema Pd. Se vincono, è merito loro. Se perdono, è colpa degli altri. E’ un assioma che va bene se lo usa Massimo Moratti, o un intertriste qualsiasi (demandare sempre ad altri – gli arbitri, i complotti, la Stasi, il Kgb, la Spectre, gli Ufo – i propri fallimenti). E’ cosa che fa ridere, nel calcio. Mentre crea disastri, e tanti, in politica. Cioè nella vita dei cittadini.
Il Pd, nonostante un Berlusconi ormai a livelli più fantozziani che da Repubblica di Arcore-Salò, ha vinto soltanto quando ha giocato da solo (Torino), quando non si è comportato da Pd (Milano) o quando – pur non avendo vinto – ha festeggiato per primo e con odiosa sicumera (ultimi referendum).
Il vizio di dare la colpa a Grillo, o più in generale al Movimento 5 Stelle, è antico. E tradisce tutta la smisurata volgarità di chi ragiona in maniera simile. La pretesa del voto a scatola chiusa, in nome di un imprecisato “menopeggismo”, sarebbe sgradevole già se avessimo un centrosinistra italiano convincente. Figurarsi poi se il consesso politico di cui si parla coincide con la peggiore Armata Brancaleone d’Europa.
A prescindere dal M5S, che qui rimane sullo sfondo, il punto è ribadire il diritto che ha ogni elettore nello scegliersi il movimento che ritiene più vicino (o meno lontano). Iorio, il sindaco rieletto per la terza volta in Molise, è certo improponibile. Non amare (eufemismo) un candidato rivale non può però essere sempre – e solo – l‘unica molla per votare l’altra parte della (stessa) barricata.
Bersani ha dato la colpa a Grillo. Rutelli ha dato la colpa a Grillo (e il fatto che Rutelli la pensi così dà la misura della profondità di una tale analisi elettorale). E’ ora di finirla: la colpa era e rimane solo del Pd. Se mi piaci, ti voto. Se non mi piaci, non ti voto. Non è difficile – nel caso, Bersani se lo faccia spiegare da chi gli scrive i testi migliori, Maurizio Crozza.
Basta con questi sillogismi pietosi – e insultanti – secondo cui il credere, ingenuamente o meno, in una politica “diversa” significa fiancheggiare il berlusconismo. Qua gli unici fiancheggiatori di Priapino sono i gerontocrati del Pd. E i suoi tre o quattro polli di allevamento che ne tessono le lodi.
Il miraggio della superiorità genetica del centrosinistra potevamo permettercelo con Enrico Berlinguer o Sandro Pertini: con Veltroni (grazie per i radicali, a proposito) o Renzi no. Non sono migliori degli altri, o perlomeno non sempre lo sembrano.
Basta con i capri espiatori. Che, peraltro, aumentano voti. Mentre il Pd non riesce neanche a beneficiare dell’agonia berlusconiana, a conferma della “guittezza” della immodificabile nomenklatura.
Se il Pd non viene votato, è solo colpa del Pd. E’ inimmaginabile che un uomo intelligente per postulato come Massimo D’Alema, si presume prossimo all’orgasmo ripensando al Modello Macerata, non conosca una regola base: se nessuno viene a letto con me, non me la prendo con il letto.