“Gli emendamenti presentati dal governo al ddl sulle intercettazioni rappresentano una vera e propria norma restrittiva di un diritto costituzionale e ledono il diritto dei cittadini all’informazione”. La pensava così poco più di un anno fa Lorenzo Del Boca, allora presidente dell’Ordine dei Giornalisti, che protestava contro la legge bavaglio voluta dal governo Berlusconi. Lo stesso Del Boca che, poco dopo le dimissioni di Angelino Alfano e in corrispondenza della nomina di Nitto Palma, è diventato capo ufficio stampa del Ministro di Grazia e Giustizia. Un ex presidente dell’Ordine, dunque, con un passato da difensore della libertà d’informazione e un presente tra i banchi di chi sostiene il ddl intercettazioni, mentre il mondo dell’informazione è mobilitato da mesi per impedirne l’approvazione.
A fine settembre, da poco nominato ministro, Nitto Palma in un’intervista a Il Messaggero non aveva avuto dubbi sul giro di vite per i cronisti. Pur ammettendo di avere utilizzato le intercettazioni come “strumento investigativo” prima da pm fino al 1994 e poi alla Direzione Nazionale Antimafia fino al 2001, aveva aggiunto che “alla fine dell’inchiesta, non finivano sui giornali”. Fresco di nomina, il Guardasigilli aveva poi invocato il carcere come “soluzione finale” per i giornalisti che si sarebbero ostinati, contrariamente a quanto previsto dal ddl, a pubblicarle.
Posizioni che fino a un anno fa erano in antitesi con quanto sosteneva il nuovo capo ufficio stampa di Via Arenula, eletto Presidente dell’Ordine per tre volte consecutive dal 2001 al 2010. Giornalista professionista dal 1980, nel 1996 era stato Presidente della Federazione Nazionale della Stampa Italiana (Fnsi) e aveva lavorato in passato presso la redazione torinese di Stampa Sera, dove si è occupato soprattutto di fatti di terrorismo, e prima ancora alla Stampa di Novara.
Sul sito dell’Ordine sono ancora online le sue dichiarazioni sul ddl intercettazioni, che nell’aprile 2010 condannava fermamente con il sostegno del mondo dell’informazione. “Le limitazioni che il disegno di legge pone alla pubblicazione di atti documenti e semplici informazioni – scriveva -rappresentano gravi limitazioni alla libertà di informare e alla stessa autonomia dell’Ordine”. Poi invocava l’autoregolamentazione per chi esercitava la professione giornalistica, senza auspicare nessun provvedimento restrittivo dall’alto, perché “occorre buonsenso e rispetto delle norme deontologiche” e concludeva: “Il senso di responsabilità della categoria non aumenta certamente con l’imposizione di una legge che vieta l’accesso alle fonti di informazione e che si configura nei fatti come una disdicevole censura preventiva”.
Enzo Iacopino, oggi presidente dell’ordine dei Giornalisti, spiega che Del Boca “si limita a svolgere un ruolo tecnico per il Ministero, ed è libero di farlo”. Ma puntualizza: “Se fossi stato in lui, mi sentirei a disagio nel firmare un comunicato sulla legge bavaglio” anche se ritiene possibile che Del Boca abbia accettato l’incarico per “diventare difensore dei giornalisti presso il Ministero”. E mentre alcuni cronisti pensano di sollevare il tema dell’incompatibilità etica alla prossima riunione del Consiglio dell’Ordine a novembre, Iacopino dice di “non sapere nulla di iniziative polemiche”.