Bruxelles ha chiesto ufficialmente all’Italia di conformarsi al più presto alle norme europee in materia di rendimento energetico degli edifici. C’è tempo due mesi, poi scatterà l’ennesima procedura d’infrazione e il nostro Paese si ritroverà ancora una volta nelle vesti di imputata di fronte alla Corte di Giustizia europea. Se il primo richiamo della Commissione non risalisse al 24 novembre 2010, si potrebbe pensare che il ministero dell’Ambiente italiano non sappia che gli edifici consumano il 40% dell’energia e producono il 36% delle emissioni di anidride carbonica (Co2) in tutta Europa.
Questo vuol dire che sono proprio gli edifici, in primis per il riscaldamento, la terza causa di emissioni di CO2 dopo industria e trasporti nell’Unione europea. Per questo motivo la Commissione vigila attentamente sul rispetto degli standard energetici, regolarmente ignorati in Italia. Parliamo ad esempio degli attestati di rendimento energetico delle abitazioni che devono essere rilasciati ai cittadini all’atto sia dell’acquisto che della firma di un contratto d’affitto. In teoria, questi documenti dovrebbero essere rilasciati da esperti qualificati indipendenti sia per gli edifici nuovi che per quelli già esistenti. La legislazione italiana autorizza però i proprietari ad autocertificare il rendimento energetico se dichiarano che il loro edificio appartiene alla classe di consumo inferiore (G). Questo vuol dire che chi compre o affitta non riceve alcuna informazione sui futuri costi energetici né alcun ragguaglio su come migliorare il rendimento. Inoltre, nel caso dell’affitto, la legge italiana prescrive questi attestati solo per gli edifici di nuova costruzione, mentre li considera non obbligatori per gli edifici già esistenti.
Infatti in molti Paesi europei, come Austria e Germania, la valutazione “energetica” di una casa sta diventando un parametro fondamentale per la scelta dell’acquisto di un’abitazione, perché questo vuol dire quanto questa abitazione (spessore e consistenza dei muri, vetri isolanti, esposizione alla luce del sole, ecc…) costerà in bolletta in termini di consumi. A dire il vero esempi virtuosi nel nostro Paese ci sono, ad esempio in Trentino, ma si tratta di gocce in un mare di sprechi e inefficienze.
Già nel novembre 2010 la Commissione europea ha denunciato che “le disposizioni della legislazione italiana in materia di rilascio degli attestati di rendimento energetico degli edifici non rispondono alle esigenze fissate dalla direttiva Ue”. Inoltre, sempre secondo Bruxelles, “l’Italia non ha adottato alcuna misura relativa all’obbligo di ispezioni periodiche degli impianti di condizionamento dell’aria per valutarne il rendimento”. Insomma, regole insufficienti e controlli praticamente inesistenti, il preludio perfetto all’apertura dell’ennesima procedura d’infrazione di danni dell’Italia.
Proprio l’efficienza energetica degli edifici è individuata dall’Europa come un passo fondamentale per raggiungere l’obiettivo della riduzione del 25% di emissioni di Co2 entro il 2020. Senza dimenticare, sottolinea la Commissione europea nella sua comunicazione inviata alle autorità italiane, che “edifici efficienti sul piano dell’energia significano anche risparmi per le famiglie”.
D’accordo anche Confindustria, secondo la quale “sfruttando in modo razionale l’energia si potrebbe ottenere un incremento di 238 miliardi di euro in produzione totale, con relativa crescita occupazionale di circa 1,6 milioni di unità di lavoro entro il 2020”. In un’audizione di fronte alla commissione Attività produttive della Camera tenutasi a fine settembre, l’associazione degli industriali ha denunciato che “il settore dell’efficienza energetica, sebbene presenti un potenziale di sviluppo socio economico molto più elevato delle energie rinnovabili, ha ricevuto scarsa attenzione in questi anni”.
Insomma, il messaggio di Bruxelles è chiaro: due mesi per conformarsi alla normativa comunitaria o scatta l’infrazione, un’altra.