Politica

Todi, i cattolici e le paure di Berlusconi

Il primo risultato dell’assemblea cattolica di Todi consiste in un’ulteriore delegittimazione di Berlusconi. In questo il premier ha visto giusto, perciò si è messo a strillare che i giornali hanno scritto il falso e che dalla riunione non sarebbe emerso nessun appello a “dare una spallata al governo”. Naturalmente non è così. La stampa intera ha colto il senso delle conclusioni del convegno, riassunto nella frase lapidaria di Giorgio Guerrini, uno dei promotori e presidente di Confartigianato: “Questo governo non ce la fa”. Berlusconi non capisce niente di Stato e di governo, ma capisce moltissimo di marketing. Perciò ha subito cambiato rotta rispetto ai suoi pasdaran Sacconi e Roccella, che a caldo avevano lamentato “delusione” per gli esiti della riunione e – con il ministro del Welfare – avevano bollato la richiesta di un nuovo governo a larghe intese come una “non proposta”.

Di fronte al rischio di apparire emarginato dal mondo cattolico, il premier ha diffuso una nota per elogiare lo “splendido discorso” del presidente della Cei Bagnasco e negare che la Chiesa dia coperture a politiche neodemocristiane e terzopoliste. Alfano, di conserva, ha dichiarato che i cattolici hanno già un partito che “ha difeso i valori della vita e della famiglia”: il Pdl. Fissato il punto di non ritorno del mondo cattolico (e della conferenza episcopale) nei confronti di Berlusconi, la cui alleanza alla Chiesa non appare più praticabile, resta il problema del traguardo verso cui è incamminata la carovana cattolica.

L’Osservatore Romano
valorizza l’evento come “inizio di un cammino verso una nuova stagione unitaria dell’impegno dei cattolici in politica”. Per evitare frizioni con il governo la tesi vaticana è che da Todi non arrivano “misure concrete”. L’Avvenire, giornale dei vescovi, mette l’accento sul dato politico immediato: l’affacciarsi sulla scena di una forza di aggregazione, che nella generale situazione di crisi, si presenta come elemento di rinnovamento del Paese. In questo senso è anche sintomatico il titolo dell’Osservatore: “In cammino per cambiare l’Italia”. Berlusconi, da questo punto di vista, non è più accreditato come protagonista di alcunché.

Ma stabiliti questi paletti, l’orizzonte della carovana bianca è ancora estremamente confuso. Confessa onestamente uno dei partecipanti: “Tutto dipende dal tempo a disposizione. Un conto è se il governo cade tra poche settimane, diverso è se si va a votare in primavera. Altra cosa ancora è se abbiamo a disposizione un anno di tempo per dare forma alla nostra iniziativa”. Chiaramente, qualora Berlusconi arrivasse al collasso tra poche settimane, il principale beneficiario dell’attuale mobilitazione cattolica sarebbe Casini con il suo Terzo polo, deciso tenacemente a presentarsi da solo alle elezioni. Ma se il governo di centrodestra durasse più a lungo, la carovana di Todi dovrebbe sciogliere almeno due grossi nodi.

È emersa nettamente nel corso del dibattito a Todi l’ambizione dei partecipanti di “scompaginare” l’attuale bipolarismo imperniato su Pdl e Pd e di creare uno scenario politico nuovo. È un traguardo che pone quasi automaticamente il problema della creazione di un nuovo partito. Non è detto che sia quello a cui sta lavorando Casini. Il blocco tricolore del leader Udc prevede di aggregare pezzi del Pdl (da Formigoni, a Sacconi, a Tremonti, Pisanu, Scajola e Alfano: tanto per indicare alcune aree pidielline) e di unirle all’Udc, al Fli, ai rutelliani e a frange cattoliche del Pd. È un’operazione tipicamente politica, che non entusiasma particolarmente quegli ambienti dell’associazionismo cattolico desiderosi di vedere nascere una “cosa” dichiaratamente nuova, sullo slancio di un appello sturziano al Paese, in una visione “nazional-popolare”. Quindi un partito non confessionale, ma che coinvolga esplicitamente credenti e non credenti.

La voglia di creare un partito nuovo, benché minoritaria e avversata sia da Bonanni e dai ciellini che dall’ala “culturale” di Todi, è presente in una parte non irrilevante dell’associazionismo cattolico. Carlo Costalli del Movimento cristiano lavoratori non fa mistero del suo desiderio di trovare uno sbocco “organizzato” alla mobilitazione appena incominciata. Il presidente di Confcooperative Luigi Marino pensa la stessa cosa. Ma anche un personaggio prudente come il rettore dell’Università cattolica come Lorenzo Ornaghi non esclude l’ipotesi di doversi misurare con la questione dello “strumento partito”. Lo stesso filosofo Dario Antiseri ha proposto – nel dibattito – l’obiettivo di un partito di tipo sturziano. L’interrogativo si riproporrà nei prossimi mesi.

L’altro problema su cui la carovana di Todi non ha voluto misurarsi, ma che pesa su qualsiasi progetto futuro, è l’analisi della stagione ruiniana imperniata sui “principi non negoziabili” branditi come strumento di ricatto nei confronti delle forze politiche e dei governi. Ferruccio de Bortoli, con garbo, ha fatto capire che ciò ha creato “incomunicabilità” con le forze laiche anche sul terreno civile ed economico. Roberto Mazzotta, direttore dell’Istituto Sturzo, ha commentato che va considerata chiusa la fase della “trattativa diretta della Chiesa con i poteri politici”. Sono giudizi che ancora non sono diventati senso comune.

La palla ora passa al Pd. La sua forza di attrazione verso i cattolici può nascere soltanto dalla capacità – come dice il cattolico Franco Marini – di essere un partito basato su valori solidali e non apparire “sordo e indifferente” alle speranze e ai bisogni delle persone.

Il Fatto Quotidiano, 19 ottobre 2011