La prova è un video diffuso da Al Jazeera. Il suo corpo sbattuto a terra, nella sua Sirte, l’ultima roccaforte. L’obiettivo non è fermo, immagini concitate come il momento. Nei primi frammenti il volto è rivolto dall’altra parte rispetto alla telecamera che lo riprende. Un rivolo di sangue scorre copioso lungo il collo. Ma il volto del Colonnello ormai morto è mostrato al mondo. Immagini terribili. Barbarie nella barbarie. Nessuno può esultare. Ma un tiranno è caduto, questo è certo. Lo scontro a fuoco, durante il quale sarebbe morto Muammar Gheddafi, sarebbe seguito a un raid aereo sulla città natale del raìs, unica grande città libica che fino a stamattina non era nelle mani dei ribelli. Sarebbe stato trovato in una buca, di cui in rete circolano le foto.
Di scatti del Gheddafi morto, fino al primo pomeriggio ne è circolato uno solo: il volto insanguinato, tumefatto, consegnato alla storia da un fotografo di France Press, dal suo telefonino. Non poteva quello scatto essere la prova unica della morte del raìs data in pasto alla comunità internazionale e alla stampa di tutto il mondo. Non poteva ripetersi un caso Bin Laden, ucciso dagli americani con un incursione nel remoto Pakistan lo scorso maggio, e mai mostrato al mondo. Troppo vicina la Libia all’Occidente. Nel pomeriggio incominciano a essere diffuse le prime immagini (il suo corpo si vede disteso per terra), i ribelli annunciano che permetteranno di realizzare dei video per riprendere il cadavere del raìs. La Storia ha il diritto di sapere se il terribile regime quarantennale – di cui anche l’Italia, soprattutto quella di Berlusconi (“Sic transit gloria mundi” il suo commento), è responsabile – è davvero finito con la morte del Colonnello. E così è, come il video di Al Jazeera mostra.
In alto, il corpo di Gheddafi nella foto di France Press. Per ingrandire clicca qui