La violenza è americana come la torta di mele. La storia di Samuel Brinton, un 23enne studente di dottorato del Mit di Boston, raccontata lo scorso agosto a Lgbtq Nation, una delle testate gay più importanti d’America, ne è la triste conferma.
Samuel è il figlio di due pastori della Southern Baptist Church, la realtà protestante più grande degli Stati Uniti. All’età di 12 anni, Sam e i suoi amici scoprono una copia di Playboy. Sam torna a casa dal padre, che gli aveva inculcato un’educazione sessuofobica, e fa l’errore di riferirgli di quella copia del giornaletto rassicurandolo: “Sono così santo che quelle immagini di donne nude non hanno avuto nessun effetto su di me. Non come quando penso al mio amico Dale“. Un coming out del tutto involontario e forse nemmeno compreso dal 12enne, ma colto al volo dal padre missionario, che per tutta reazione colpisce il figlio al volto e lo manda al Pronto Soccorso.
Al ritorno a casa, la madre del ragazzo lo convince a entrare in una “terapia di riparazione“. E’ difficile spiegare cosa sono queste “terapie”, presenti da qualche anno anche in Italia. Sono degli appuntamenti in cui delle persone adulte, quasi sempre prive di qualunque competenza medico-psicologica, cercano di convincere dei minorenni che l’omosessualità è una malattia dalla quale si può guarire con le preghiere, la volontà e una serie di altre misure. Nel caso di Samuel Brinton, queste misure hanno compreso dapprima un racconto dell’orrore, in cui è stato detto al bambino che lui era gay e malato di Aids e che se non fosse guarito dall’omosessualità, sarebbe morto, perché il Governo degli Usa aveva sterminato tutti gli altri gay del Paese, bambini inclusi.
La tortura è andata avanti con appuntamenti plurisettimanali, per anni. Ma le parole non erano abbastanza e così il religioso e i genitori sono passati a misure di maggiore impatto. Nelle sedute, Sam era legato a un tavolo, con le mani tenute aperte, costretto a guardare delle immagini di uomini gay, alternate a immagini di stampo eterosessuale. Ogni volta che la diapositiva mostrava due uomini in atteggiamenti d’affetto, sulle mani del bambino veniva appoggiato del ghiaccio. Non soddisfatti dei risultati, il ghiaccio è stato sostituito da delle bobine di rame, applicate ai polsi e alle mani del ragazzino. Dinanzi a immagini gay, le bobine erano riscaldate per via elettrica, fino a diventare bollenti.
Gli effetti di queste torture hanno portato Samuel a tentare il suicidio cinque volte. Aguzzino e genitori sono poi passati a una nuova fase della loro “terapia”. Legato l’adolescente a una sedia, gli infilavano degli aghi sotto le unghie, collegati a elettrodi. Tutte le volte che gli erano mostrate delle immagini gay, uno choc elettrico veniva azionato dall’aguzzino. A casa, Sam era tenuto prigioniero in camera sua. Nessuno poteva fargli visita, nemmeno la sorellina minore, a cui i genitori dissero che Sam aveva ucciso qualcuno e che loro lo tenevano nascosto per evitare di farlo arrestare dalla polizia.
Dopo anni, Sam ha capito che doveva recitare per salvarsi la vita. Così un giorno ha detto ai genitori di essere guarito dall’omosessualità. Le sedute con l’aguzzino furono sospese e la famiglia tornò a una normalità surreale. Sam ebbe la libertà di frequentare l’università del Kansas, a migliaia di chilometri da casa. In Kansas, dopo un anno, Sam cominciò a rinascere, soprattutto grazie alle nuove amicizie anche con studenti Lgbtq che gli spiegarono come tutto quello che gli era stato inculcato fosse falso. Si impegnò in diversi gruppi, fino a candidarsi come rappresentante degli studenti, dichiarando al mondo di essere gay. Le elezioni non furono vinte, ma ormai la carriera di militante per i diritti delle persone Lgbtq era iniziata. L’anno scorso Sam ha vinto il premio come “Miglior attivista Lgbtq degli Stati Uniti” ed è entrato al Mit di Boston, dove studia ingegneria nucleare.
“Al di là di ciò che ho passato io“, ha dichiarato Samuel, “sono preoccupato per ciò che può accadere a questa nazione. Abbiamo una candidata alla Casa Bianca (Michele Bachmann, nda) il cui marito è direttamente coinvolto in pratiche di terapia riparativa. Non possiamo permetterci di avere un presidente che sostenga la terapia riparativa, perché la terapia riparativa uccide la gente“. Un gruppo di sostegno frequentato da Samuel, composto di altri 10 ragazzi che erano sopravvissuti ad anni di terapia riparativa, ha a oggi perso per suicidio 8 dei suoi 10 membri.
La storia di Sam sembra un film dell’orrore, ma è solo uno dei tanti aspetti della realtà statunitense, poliedrica come poche altre. Contro le terapie riparative il movimento Lgbtq americano si dà molto da fare: qui potete vedere uno dei siti che si batte contro la conferenza di Exodus, una delle associazioni che sostiene questo genere di torture.