L'Espresso pubblica i verbali di Giacomo Greco, collaboratore di giustizia di grande rilievo. Il capo di Cosa nostra "si interessò per farlo votare" nel 2001, quando il futuro "Responsabile" militava nell'Udc
I verbali di Greco sono svelati dall’Espresso in edicola domani, in un articolo di Lirio Abate. Che ricorda, fra l’altro, che nel 1997 i carabinieri fermarono insieme Greco e Romano, e “con loro c’era un’altra persona, poi assassinata”. I verbali fanno parte dei faldoni inviati dalla Procura di Palermo alla Camera dei deputati per chiederne l’utilizzabilità nei confronti dell’onorevole Romano. Dai quali erano già emerse intercettazioni imbarazzanti, come quella in cui l’allora deputato dell’Udc si fa dettare un emendamento sul settore gas da Gianni Lapis, il tributarista della famiglia Ciancimino.
Il sostegno di zio “Binnu” a Romano, secondo Greco, risalirebbe al 2001, quando la famiglia dei Mandalà di Villabate, che gestiva la latitanza di Provenzano “si interessò per far votare Saverio Romano”. Greco, riporta L’Espresso, venne a conoscenza di queste direttive dei boss “perché direttamente informato da Ciccio Pastoia e dai suoi figli”. C’era la “necessità” di portare Saverio Romano in Parlamento, che all’epoca militava nell’Udc, e per farlo eleggere tutto il clan si sarebbe mobilitato. Pastoia evitò di farsi vedere in pubblico con Romano, per non bruciarlo, ma secondo il pentito i due si conoscevano bene e tenevano i rapporti tramite Nicola Mandalà, il mafioso che per due volte accompagnò Provenzano in una clinica a Marsiglia.
“Sia Ciccio Pastoia che i suoi figli Giovanni e Pietro affermarono che su Romano c’era anche l’interesse dello “zio” e cioè di Bernardo Provenzano”, spiega Greco. Tutto cambia nel 2003, quando il futuro ministro – entrato al governo in quota Responsabili nel 2010 – finisce sotto inchiesta insieme al presidente della Regione sicilia Totò Cuffaro, anche lui dell’Udc. “Nel 2004 Ciccio Pastoia mi incaricò di organizzare ed eseguire un attentato incendiario in danno dell’abitazione del padre dell’onorevole Romano”, mette a verbale il collaboratore. “Mi disse che Nicola Mandalà ce l’aveva con Romano perché non aveva mantenuto gli impegni precedentemente assunti”. L’intimidazione saltò perché i mafiosi sapevano di essere oggetto di indagini dell’antimafia.