“Quando la vittoria non è il premio per quello che hai fatto, ma il risultato di altre combinazioni, finisce per irrigidire i difetti”. Così dice Nando Dalla Chiesa, pensando allo stato di salute del Pd milanese, dopo la vittoria elettorale che ha portato Giuliano Pisapia a Palazzo Marino. Ora il Partito democratico milanese vara una nuova segreteria provinciale: dodici membri scelti, più che con il manuale Cencelli, con il bilancino di precisione del farmacista. Stefano Boeri aveva chiesto di aprire un grande confronto in città, un congresso straordinario, una grande assemblea programmatica. Aveva detto: “Serve un cambio di marcia, serio e tutti insieme, tra noi e nel rapporto con la città”.
È vero che c’è stata una svolta a Milano: il centrosinistra ha vinto le elezioni, Pisapia è diventato sindaco, il Pd è diventato il più forte partito della coalizione e ora è al governo. Ma tutto ciò è accaduto non come premio per il lavoro fatto dal partito nel passato, bensì come scommessa dei milanesi per il futuro. Così l’entusiasmo della campagna elettorale, giocata attorno al volto nuovo di Stefano Boeri, ha creato un Pd inedito, fatto di cittadini, di elettori che hanno puntato sul rinnovamento “arancione”. Prendiamo atto di questa straordinaria novità, chiedeva Boeri, e adeguiamo il partito al vento cambiato in città. Apriamo i retrobottega degli apparati, scardiniamo i gruppi e gruppetti di potere, discutiamo di idee, programmi, proposte, progetti. Alla fine di un grande confronto pubblico, fatto non solo con i militanti, ma con gli elettori e con tutta la città, potremo anche scegliere il nuovo gruppo dirigente, capace di guidare la nuova stagione.
Invece l’apparato è andato avanti per la sua strada. Ha sciolto la vecchia segreteria, fatta di giovani che non facevano male a nessuno: andavano bene quando il Pd era all’opposizione, tanto le cose che contano le decidevano Filippo Penati e il suo comitato d’affari. Ora il Pd governa la città, dunque tutti vogliono il loro posto. Così i dodici apostoli della segreteria provinciale sono stati scelti con precisione millimetrica e sono lì a rappresentare tutte le correnti e tutti gli spifferi del partito: c’è l’uomo di Penati e quello di Rosy Bindi, quello di Enrico Letta e quello di Antonio Panzeri, di Barbara Pollastrini e di Marilena Adamo, di Franco Mirabelli e di Pierfrancesco Majorino… Di questo parlamentino e dei suoi equilibri, naturalmente, non frega nulla alla città e agli elettori, ma in fondo neppure agli iscritti e ai militanti. Colonnelli senza esercito. Però l’apparato si gode la vittoria, insperata e anche un po’ immeritata, e gioca con il potere, magari piccolo, piccolissimo o inesistente.
Stefano Boeri aveva chiesto una svolta culturale, gli hanno offerto un posto in segreteria come “invitato permanente”. Ha risposto: “No grazie”. Apriti cielo. La nuova custode degli equilibri d’apparato, la capogruppo in Comune Carmela Rozza, attacca: “Non capisco cosa voglia Boeri. Il compito degli assessori è lavorare, non predicare”. L’apparato fa finta di non capire che i milanesi non hanno votato Pd come premio per il lavoro passato, ma come scommessa sul futuro. L’occasione è unica e non può essere sprecata. Anche perché gli elettori, c’è da scommetterci, la volta prossima saranno più severi.
Il Fatto Quotidiano, 20 ottobre 2011