L’annuncio tanto atteso è arrivato ieri: l’Eta ha dichiarato la “fine definitiva dell’attività armata”. In un comunicato, composto da otto paragrafi, l’organizzazione indipendentista basca ha annunciato la fine della violenza dopo 43 anni di azioni in cui hanno perso la vita 829 persone. In Spagna l’annuncio ha destato grande emozione, a tutti i livelli, con televisioni e radio a fare da megafono per i cittadini che a loro volta invocano, con soddisfazione, l’inizio di un processo di pacificazione. A livello politico, invece, la decisione di Eta diventa argomento di discussione in piena campagna elettorale: PP e PSOE, infatti, tendono ad attribuirsi i meriti di una lotta intransigente contro il terrorismo.
Il primo a mostrare una certa commozione è stato il premier uscente José Luis Zapatero, che, parlando alla Moncloa, ha detto: “La nostra d’ora in poi sarà una democrazia senza terrorismo, ma non senza memoria”. Zapatero ha sottolineato che in questo giorno storico vanno ricordate tutte le vittime colpite dai separatisti baschi. Addirittura difficile per il candidato del PSOE in corsa alle prossime elezioni del 20 novembre, Alfredo Perez Rubalcaba riuscire a concludere il proprio intervento, in cui con la voce rotta ha voluto ricordare le vittime cadute durante il periodo in cui copriva l’incarico di ministro dell’Interno. Anche il PP di Mariano Rajoy ha reagito con soddisfazione, sottolineando che nel paese ha vinto la lotta contro il terrorismo senza condizioni.
L’annuncio di Eta arriva a tre giorni dalla conferenza di pace di San Sebastian, in cui è stato ufficialmente chiesto ad Eta di abbandonare le armi. All’incontro hanno partecipato molti esponenti internazionali, tra cui l’ex segretario dell’Onu e Premio Nobel per la pace Kofi Annan, i tre artefici della pace in Ulster (l’ex premier di Dublino Bertie Ahern, l’ex “braccio politico” dell’indipendentismo nord-irlandese Gerry Adams e l’ex capo di gabinetto di Londra Jonathan Powell), più tutti i partiti e sindacati baschi, chi più chi meno, relazionati con Eta.
Ma l’annuncio della fine della violenza era nell’aria già da tempo. Negli ultimi anni l’organizzazione ha incassato una serie di colpi duri inferti da Spagna e Francia, con l’arresto dei propri militanti. Oltre 700 sono in prigione, di quelli in libertà solo una cinquantina sono rimasti attivi. Eta ha però soprattutto perso l’appoggio della popolazione dei Paesi Baschi, che a tutti i livelli, chiede ora un reale processo di pacificazione. E’ su questo tasto che si basa la forza della sinistra abertzale nella provincia autonoma, in particolare di Bildu. Ma il processo è in realtà tutto in salita. PSOE e PP non sembrano pronti ad aprire al dialogo. Eta dal canto suo ha limitato l’annuncio alla cessazione della lotta armata, che non significa lo scioglimento dell’organizzazione.
Nel comunicato di ieri, i membri dell’organizzazione, apparsi in video con il volto coperto non hanno menzionato le vittime ma hanno ricordato i propri militanti: “Nella lotta tanto crudele sono spariti per sempre molti compagni e compagne. Altri stanno soffrendo in carcere o in esilio. A loro vanno i nostri ringraziamenti e riconoscenza”. Eta inoltre precisa che nei Paesi Baschi si sta aprendo una nuova stagione politica: “Siamo di fronte a un’opportunità storica per giungere ad una soluzione giusta e democratica del conflitto politico”. E’ con queste premesse che la Spagna oggi volta pagina. Madrid non sembra disposta al dialogo, mentre Eta chiede un processo politico che di fatto riconosca il proprio ruolo nei Paesi Baschi. Il percorso resta tortuoso. Lo ammettono soprattutto moltissimi cittadini baschi: “E’ troppo presto per festeggiare – ha detto in un’intervista un ragazzo di San Sebastian – per ora ci accontentiamo di provare un certo sollievo”.