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Saddam e le “armi di distruzione di massa” <br> Otto anni di sangue in Iraq

George W. Bush, l’allora presidente degli Stati Uniti, aveva proclamato che sarebbe stata una “guerra-lampo”. Invece il conflitto in Iraq, iniziato il 27 marzo 2003 – due anni dopo quello in Afghanistan avviato nell’ottobre del 2001, subito dopo gli attentati dell’11 settembre – è andato avanti per oltre otto anni.

Ufficialmente la spedizione militare doveva servire a trovare le presunte “armi di distruzione di massa”, cioè armi nucleari o chimiche di cui secondo il Pentagono il dittatore Saddam Hussein sarebbe stato in possesso, e che non sono mai state rinvenute. E doveva contribuire alla lotta al terrorismo, in base all’assunto mai provato che Saddam avesse avuto legami con Al Qaeda nella preparazione dell’11 settembre. Infine, il principio dell'”esportazione della democrazia”.

La risoluzione 1441, votata a novembre 2003 dal Consiglio di sicurezza dell’Onu non senza accese discussioni al suo interno, faceva riferimento a “ispezioni per il disarmo in Iraq”.  Quattro mesi dopo, uno dei capi degli ispettori dichiarò nel rapporto all’Onu che “non ci sono prove di programmi di armamenti segreti dell’Iraq”. Ma, anche senza l’avallo ufficiale delle Nazioni Unite, l’operazione Iraqi Freedom era già in pieno svolgimento. Agli Stati Uniti offrono aiuto e supporto diversi Paesi, tra cui la Gran Bretagna che fornisce 50mila uomini e 36 caccia. L’Italia invia circa 2400 militari tra Esercito, Marina, Aeronautica e Arma dei Carabinieri, nell’ ambito dell’operazione Antica Babilonia, con compiti principalmente di sicurezza e aiuto al popolo iracheno.

Oltre che a Baghdad, si combatte a Kerbala, a Najaf, Nassiryia, Bassora, a Trikrit, città natale di Saddam. In tutto il Paese è caccia a Saddam Hussein, mentre nel mondo molti manifestano per gridare la propria contrarietà al conflitto. Un anno dopo, nel marzo del 2004, viene firmata a Baghdad una Costituzione provvisoria, che però non ha carattere vincolante : per quella definitiva si attendono infatti le elezioni politiche previste entro il gennaio del 2005. Intanto, sempre nel 2004, Al Quaeda firma un altro attentato, nella stazione ferroviaria di Atocha, a Madrid, in Spagna.

Il 2004 è anche l’anno delle due battaglie di Falluja, città ribelle sunnita, ad aprile e a novembre. Nella battaglia di novembre gli americani dichiarano di aver ucciso circa mille “nemici combattenti”, ma negano l’esistenza di vittime civili. Il 13 aprile vengono rapiti quattro contractor italiani: uno di loro, Fabrizio Quattrocchi, viene ucciso. Il 26 agosto sarà la volta del giornalista Enzo Baldoni. A novembre altri 19 italiani, tra militari e civili, e nove iracheni muoiono nell’attentato alla base delle nostre forze armate a Nassiryia. Un anno dopo, nel luglio del 2005, un altro attentato colpisce Londra.

Intanto la guerra prosegue: diversi gruppi di insorgenti iracheni, composti per lo più da ex militari di Saddam ed estremisti islamici, organizzano attentati e mietono vittime fra le truppe Usa, soprattutto con ordigni improvvisati che esplodono al passaggio di convogli militari. Nel 2006 Saddam Hussein è condannato a morte per impiccagione, condanna che viene eseguita il 30 dicembre.

In totale sono quasi cinquemila i militari del contingente internazionale che hanno perso la vita nel conflitto. Di questi, la stragrande maggioranza è americana, mentre 326 provengono da altri Paesi. Tra loro anche 33 soldati italiani. Mentre circa 110mila, secondo una stima del sito “Iraq body count”, sono state le vittime civili, delle quali non esiste un conteggio ufficiale.

Dopo il rovesciamento del regime di Saddam, il presidente Usa annunciò la fine delle ostilità. Ma era una previsione più che ottimistica: dopo oltre otto anni dall’intervento militare nel Paese regnano ancora violenza e instabilità. Gli attentati mortali sono quasi quotidiani – si calcola che almeno 1800 iracheni siano morti solo dall’inizio del 2011 – e il terrorismo, compreso quello di Al Qaida, non può essere considerato estirpato, nonostante la cattura e uccisione di Osama Bin Laden il 2 maggio scorso. Al punto che dalle stesse autorità locali è arrivata più volte la richiesta di posticipare il ritiro, pena il rischio di una guerra civile.

Nello scorso mese di agosto l’Onu, ha reso pubblico un rapporto, stilato in collaborazione con n l’ufficio dell’Alto Commissario Onu per i Diritti Umani, secondo cui i civili uccisi nel 2010 sono circa tremila. E il 2010, precisano le Nazioni Unite, è l’anno che ha fatto registrare il minor numero di civili uccisi dall’inizio del conflitto.

La volontà da parte dell’attuale presidente Usa di ritirare le truppe era nota: Barack Obama ne aveva fatto uno dei capisaldi del suo programma in campagna elettorale. Poi dovette riconfermare la missione. Ma questa estate aveva chiesto il ritiro dei 47 mila soldati Usa che ancora si trovano nel Paese entro la fine dell’anno. A settembre Fox News ha dato la notizia di un accordo firmato dal segretario alla difesa Leon Panetta, che prevedeva la riduzione a 3.000 del numero dei soldati in Iraq entro la fine dell’anno. Panetta aveva poi smentito la notizia.Pochi giorni fa, il 16 oottobre l’Associated Press ha riferito la decisione dell’amministrazione Obama di ritirare le truppe entro la fine dell’anno.