Lo stato di salute dei nostri corsi d’acqua è, in generale, comatoso. La Cipra Internazionale (della cui sezione italiana sono stato per molti anni segretario), già tanti anni fa comunicò che circa il 90 per cento dei corsi d’acqua delle Alpi versava in condizioni di mancanza di naturalità. Il che significava che o vi erano opere di presa lungo le aste fluviali, oppure dighe che ne interrompevano il corso, o inquinamenti che alteravano sensibilmente la qualità dell’acqua, o eccessivi prelievi.
Da allora (si parla dell’inizio degli anni Novanta dello scorso secolo), la situazione non è certo migliorata, anzi. Con l’aumento delle temperature, sono sempre più massicci i prelievi a scopi irrigui (per cosa poi? Soprattutto per produrre quel granturco destinato agli allevamenti di mucche e galline…), e non sono nemmeno diminuite le richieste di concessione di derivazione d’acqua a scopo idroelettrico. Se c’è minore inquinamento viene da pensare che il fenomeno sia più dovuto alla crisi economica che non ad una fulminazione sulla via di Damasco dei nostri imprenditori.
Fatto sta che in queste estati si registrano addirittura delle asciutte di fiumi (non parlo ovviamente di torrenti), nonostante sia in vigore il deflusso minimo vitale, cioè l’obbligo per i concessionari di rilasciare in alveo una quantità di acqua sufficiente a garantire la vita dell’ecosistema. Uno spettacolo desolante che ti fa venire il magone. Al posto dell’acqua e della vita, distese di sassi e sabbia buoni solo per l’edilizia…
Ma le nostre acque si sono deteriorate anche per le immissioni criminali che hanno dovuto, ahimé, subire. Come nel campo della caccia la fanno da padroni fagiani, quaglie, cinghiali, caprioli (tutti regolarmente o meno immessi), nelle acque interne (e con danni ben maggiori) spopolano pesci esotici, alcuni immessi molto tempo addietro e adattatisi, altri immessi in epoca più recente con effetti nefasti.
E’ il caso soprattutto del siluro, che nel fiume Po – grazie al fatto di situarsi al culmine della catena alimentare e grazie alla sua voracità (un siluro può raggiungere i 3 metri di lunghezza e 150 chili di peso) – ha letteralmente sterminato altre specie autoctone. Non sono un animalista, e non credo di dire una bestemmia affermando che il siluro dovrebbe essere completamente eradicato dalle nostre acque, per evitare guai peggiori rispetto a quelli sensibili già in atto.
Ma la notizia più incredibile viene da Correggio, in provincia di Reggio Emilia, dove, qualche giorno fa, durante una asciutta di un canale irriguo, sono stati pescati ben cinque piranha, due adulti e tre piccoli. Ma io mi domando, come farete anche voi: chi è quel criminale che ha immesso dei piranha nelle nostre acque?
Anno 2020, un’ansa del fiume Sesia. È sabato. Una tranquilla famigliola è sdraiata al sole tiepido di giugno. Barbara, la figlia, si alza e si stira. “Vado a fare un bagno”. Papà: “Stai attenta, non ti allontanare che c’è la corrente”. “Non sono stupida papi, e poi ho già dodici anni”. Papà guarda mamma sorridendo. Barbara si inoltra prima cautamente e poi risoluta si tuffa nelle placide acque dell’ansa fluviale. Un attimo e un urlo agghiacciante squarcia l’aria. Papà e mamma all’unisono “Barbara!”. Barbara cerca di arrivare a riva ma il dolore è troppo grande. L’acqua intorno a lei si tinge di rosso, un piranha si dibatte attaccato alla coscia.