Siamo una piccola oasi di benestanti nel corso della storia che può guardare la guerra dalle rive del fiume. Abbiamo benessere e pace come nessuno mai. Per questo trovo immorali le letture politically correct della morte di Gheddafi. Sinceramente per un dittatore orrendo come lui ci si poteva aspettare una fine diversa? Si poteva chiedere nel corso di una guerra civile e dopo tante torture una saggezza benpensante ai libici straziati e vessati? Questo non significa che sia giusto. In termini astratti sarebbe stato meglio giudicarlo. Ma lo diciamo da qui, davanti alle nostre tv. La morte e la violenza fanno parte della vita, siamo noi che ce ne siamo dimenticati. Le esorcizziamo su Fox Crime e nel Morta a Morta di Bruno Vespa.
Nel nostro radical way of life dobbiamo ricomprenderle non per giustificarle ma per raggiungere una sintesi migliore, più realistica della nostra visione etica troppo intellettualizzata del mondo. Dovremo farlo per forza se non per scelta. Alle nostre frontiere, anche culturali, premono visioni del mondo diverse, impellenti, più ferine e meno contraddittorie della nostra. Dovremmo essere capaci di difendere la nostra visione solidale dell’umanità anche di fronte ai nostri paradossi esistenziali. Il nostro benessere ha campato per decenni su questa violenza alle periferie dell’impero. Lo facciamo anche oggi sperando di brindare a petrolio per la fine del tiranno. Se sappiamo questo non abbiamo neanche bisogno di vedere quelle immagini in modo morboso, da guardoni. “Non adatto ad un pubblico sensibile”, la frase che si trova in testa a questi filmati di horror globale. Dovrebbe essere sostituita da “non adatto a un pubblico normale”. Un pubblico che ha presente il valore della vita e della morte non ha bisogno di compiacersi di questa esotica truculenza.