Tra ipotesi di condono, riforma delle pensioni e patrimoniale si fa largo il vecchio pallino di Tremonti di vendere i beni dello Stato per abbattere il debito pubblico che viaggia ormai sopra quota 1.800 miliardi. Da una nuova stagione di alienazioni, si legge negli annunci di queste settimane, si potrebbero ricavare 700 miliardi, forse 900. Ma la verità è che – al di là dei proclami – a 150 anni compiuti dall’Unità d’Italia nessuno sa davvero quanto valga il patrimonio pubblico nazionale.
L’avvertimento arriva dal Dipartimento del Tesoro che è stato più volte ascoltato dalla VI Commissione della Camera (Finanze) riguardante una “indagine conoscitiva sulle tematiche relative all’utilizzo degli immobili di proprietà dello Stato da parte delle amministrazione pubbliche”. Il 31 di marzo scorso si è chiusa una prima parte del censimento dei beni delle amministrazioni che ha permesso di rilevare finora 530mila immobili, 222 milioni di metri quadrati e quasi 760mila terreni per circa 13 miliardi di metri quadrati. Ma questi dati sono incompleti perché solo un’amministrazione su due ha risposto al censimento, esattamente il 53%. In altre parole, alla conta del Monopoli di Stato manca l’altra metà dell’Italia. Da qui, il rischio di vendere “asset” dello Stato senza un quadro completo e chiaro del patrimonio e del valore: “Non si può parlare di un’adeguata valorizzazione del patrimonio senza averne un’approfondita conoscenza”, avverte il capo della Direzione VIII del Dipartimento Stefano Scalera.
Il caos contabile di questa situazione rende ancora più spericolata l’ipotesi di procedere a una cartolarizzazione dei beni, cioè alla loro acquisizione in blocco da parte di una società veicolo che gira al Tesoro un corrispettivo immediato raggranellato sul mercato internazionale della finanza con l’emissione di obbligazioni. Garantiti, ovviamente, dal Tesoro. Nello scorso decennio sono state lanciate due operazioni di finanza creativa attraverso la Società cartolarizzazione immobili pubblici (Scip1 e Scip2): hanno richiesto 10 anni solo per il censimento dei beni e alla fine lo stato ha guadagnato poco (6,9 miliardi), i privati aderenti al fondo per la valorizzazione tanto, i cittadini ci hanno perso perché espropriati dei loro contributi prima investiti negli immobili e poi cartolarizzati a fini di speculazione privata.
In ogni caso nell’aria c’è voglia di liquidare tutto. E il censimento va avanti tra mille difficoltà. A complicare le cose il fatto che le amministrazioni che hanno dichiarato il bene non ne hanno precisato la destinazione d’uso che risulta spesso incerta e incongruente. Tanto che un ufficio si sta dedicando interamente a questo aspetto facendo controlli incrociati. “Spesso ci capitano immobili che ufficialmente sono utilizzati ma senza personale all’interno, è chiaro che in questi casi siamo di fronte a un’incongruenza”.
In questa specie di babele immobiliare l’unica cosa certa è il patrimonio dell’edilizia carceraria in disuso. In ballo ci sono 40 carceri dismesse che sono oggi all’attenzione di un tavolo tecnico tra ministero del Tesoro e ministero dell’Interno. “Questi casi saranno probabilmente i primi che verranno sottoposti al nuovo fondo: abbiamo intenzione di andare in profondità per capire i loro possibili usi alternativi”, dice ancora il funzionario.
Ma come è possibile che nel 2011 lo Stato non conosca il proprio patrimonio? “In realtà nel 2001 e nel 2004 sono stati effettuati alcuni tentativi in tale ambito e da decenni esiste il Conto generale del patrimonio, un documento redatto dalla Ragioneria generale dello Stato, aggiornato ogni anno, che contiene i beni immobili dello Stato. Ogni ente locale nel suo bilancio, nel suo conto patrimoniale, inserisce queste poste. È, però, la prima volta che si compie un censimento in modo puntuale e uniforme, facendo in modo che le informazioni siano immediatamente fruibili e non aggregate”.
Tra evidenti difficoltà e resistenze. Un esempio? L’Agenzia del demanio deferisce alla Corte dei Conti le amministrazioni che non comunicano entità e uso del proprio patrimonio, ma da un’audizione precedente è risultato che proprio la Corte dei Conti non ha fornito i suoi elenchi. Ancora numerosi sono i casi in cui le amministrazioni hanno dichiarato i loro beni ma non che uso ne fanno. Così il Dipartimento sa più o meno quanti immobili ci sono ma non come classificarli e se inserirli nell’elenco dei “vendibili”. L’operazione potrebbe procedere ben più spedita se la Direzione, che conta 24 persone in organico, potesse disporre più delle 8 che riesce a dedicare a questo immane lavoro di contare per lo Stato il numero dei suoi stessi beni.