Nel capannone di Pioltello lavora una cooperativa il cui titolare, nel 2007, fu coinvolto in un agguato di 'ndrangheta. Oltre alla sua Safra, spunta l'Alma group di Natale Sartori. A metà anni Novanta Sartori viene coinvolto in un'inchiesta di mafia assieme al senatore Dell'Utri
I bancali sono carichi di merce. Da tutto il mondo ogni genere di prodotti arriva fino a Pioltello, la cittadina a est di Milano dove Esselunga ha uno dei suoi centri di smistamento. Gli operai, in gran parte pachistani, scaricano i camion, spostano scatoloni, filano veloci sui loro muletti. La schiena spezzata come ogni giorno. Ma il 24 settembre scorso accade qualcosa di diverso dal solito. Alcuni lavoratori stanno sistemando le casse di banane appena arrivate dalla Colombia. Uno di loro, tra la frutta, nota un sacchetto di plastica: dentro ci sono 25 chili di cocaina. Vengono avvisati i responsabili del magazzino, poi i carabinieri di Cassano d’Adda, che ora indagano per scoprire come così tanta droga sia finita nella merce destinata ai supermercati del gruppo di Bernardo Caprotti. Un esposto finisce sulla scrivania di Ilda Boccassini, capo della direzione distrettuale antimafia del capoluogo lombardo.
Gli inquirenti proveranno a fare luce su questa vicenda, partendo proprio da quegli scaffali affollati di extracomunitari. Sono i lavoratori delle cooperative che hanno in appalto la gestione del centro di Pioltello. Oltre a quelli della Coopital, che hanno trovato gli stupefacenti, ci sono i dipendenti del consorzio Safra: il suo presidente, Onorio Longo, nel maggio 2007 è stato gambizzato a Milano da un sicario mandato dalla ‘ndrangheta. Vittima in una città dove per gli appalti si può anche sparare. A Pioltello lavora pure l’Alma Group, riconducibile a quel Natale Sartori che nell’ambito dell’inchiesta Caposaldo (dove non risulta indagato), è stato filmato dai carabinieri del Ros insieme al presunto boss della ‘ndrangheta Paolo Martino, arrestato il 14 marzo scorso.
Sartori in passato è rimasto coinvolto nel filone milanese delle inchieste per mafia sul senatore Marcello Dell’Utri, condannato l’anno scorso dalla Corte d’appello di Palermo a sette anni di reclusione per concorso esterno. Originario di Messina, Sartori a metà degli anni Novanta viene indagato insieme al compaesano Antonio Currò per mafia e traffico di stupefacenti. Accuse poi archiviate. Mentre fino in Cassazione resta solo una condanna per corruzione e false fatturazioni.
La procura di Milano lo accusa di essersi mosso per cercare di alleggerire il regime carcerario a cui è sottoposto Vittorio Mangano, boss mafioso ed ex stalliere di Arcore. Secondo il pentito Vincenzo La Piana, nel tentativo di ottenere il trasferimento di Mangano dalla prigione di Pianosa a quella di Parma, Sartori incontra Dell’Utri due volte nel 1995, in due diversi ristoranti del capoluogo lombardo. Presenti pure La Piana, Currò ed Enrico Di Grusa, genero di Mangano. Quando gli dicono che per fare trasferire l’ex stalliere è stato interpellato l’avvocato romano Francesco Crasta, nel racconto del collaboratore di giustizia Dell’Utri commenta: “Iddu sulu può fare vulare sta quagghia” (è la persona giusta per fare volare questa quaglia, per ottenere quello che volete).
Secondo La Piana un terzo incontro con gli stessi partecipanti avviene in un capannone di Rozzano, dove viene chiesto a Dell’Utri di finanziare con oltre un miliardo di lire un traffico di stupefacenti dalla Colombia, che poi non verrà organizzato e per il quale il senatore di Forza Italia non verrà mai nemmeno indagato. Dopodiché i contatti tra Sartori e Dell’Utri vengono provati anche dall’analisi dei tabulati telefonici dell’esperto informatico Gioacchino Genchi, consulente del Tribunale di Milano durante il processo. C’è poi almeno un altro incontro tra il senatore e Sartori: il 12 ottobre 1998, dopo una fuga di notizie sull’inchiesta milanese: “E’ vero – dichiara Dell’Utri all’Ansa il 19 aprile 1999 – venne da me per dirmi che c’era un’ indagine su di me per un traffico di droga. Io lo ringraziai, ma gli dissi che non avevo nulla da temere”.
Il pm di Milano Maurizio Romanelli accusa Sartori anche di avere favorito la latitanza di Di Grusa. Difeso da Gaetano Pecorella, che è anche legale di Silvio Berlusconi, Sartori viene assolto dalle imputazioni di mafia e traffico di droga. Alla fine, in terzo grado, resta solo una condanna per corruzione e false fatturazioni messe in essere negli anni Novanta da alcune cooperative della galassia Sartori-Currò. Galassia attorno a cui ruotano pure le figlie di Mangano, Cinzia e Loredana, quest’ultima moglie di Di Grusa.
Il nome di Sartori finisce di nuovo sulle cronache dei giornali nel luglio 2010, quando l’Alma Group lascia l’appalto per la gestione del magazzino Conad di Montopoli Valdarno (Pisa), dopo che la Cgil denuncia una serie di presunte irregolarità nella gestione del centro: alcuni lavoratori stranieri vengono trovati in possesso di buste paga con saldi negativi. Secondo Francesco Marasà, avvocato dell’Alma Group che ha difeso anche Mangano e il boss di Cosa Nostra Bernardo Provenzano, i cedolini hanno il segno meno perché i dipendenti devono rimborsare l’affitto, visto che vivono in alloggi nelle disponibilità del gruppo.
Passa poco più di un anno e in questi giorni lo Slai Cobas mette di nuovo sotto accusa l’Alma Group, insieme alle altre cooperative che lavorano a Pioltello. Il sindacato parla di “gravi situazioni di illegalità diffusa e sfruttamento di operai stranieri” che hanno luogo nel magazzino dell’Esselunga. Tra quegli stessi scaffali dove un mese fa sono spuntati 25 chili di coca. “E’ un momento difficile con i lavoratori extracomunitari”, dice Natale Sartori. Che sul ritrovamento della droga commenta: “L’ho saputo solo due giorni fa. Noi lavoriamo nei settori gastronomia e scatolame, dall’altra parte rispetto al reparto ortofrutta dove è stata trovata”.