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Crisi, scintille tra Cameron e Sarkozy. E in Gran Bretagna c’è chi vuole uscire dalla Ue

Secondo il Guardian i due leader avrebbero avuto un duro scambio durante il vertice di ieri. Parigi seccata dalle continue ingerenze di Londra. Intanto 78 parlamentari della Camera dei Comuni propongono un referendum per chiedere ai cittadini britannici di rinnovare o cancellare l'adesione all'Europa

Il presidente francese Nicolas Sarkozy

Attimi di tensione tra Nicolas Sarkozy e David Cameron al vertice sul debito dell’Unione europea di ieri. Secondo il Guardian, che cita fonti diplomatiche, il presidente francese avrebbe infatti abbandonato ogni diplomazia e sbottato contro il premier britannico per le continue pressioni di Londra sulla gestione politica della crisi europea. «Non ne possiamo più di sentire le vostre critiche e di sentirci dire da voi cosa dobbiamo fare», avrebbe detto senza mezzi termini il presidente francese rivolto a Cameron. Poi l’affondo: «Dite di detestare l’euro, non avete voluto aderirvi, e ora volete interferire nelle nostre riunioni».

Sui media britannici non c’è traccia della reazione di Cameron davanti all’irruenza francese mentre è chiara tutta l’insofferenza di Parigi per le reiterate critiche di Londra. «La crisi della zona euro colpisce tutte le nostre economie, incluse quella della Gran Bretagna – ha ripetuto Cameron nei giorni scorsi – È interesse della Gran Bretagna che i Paesi della zona euro risolvano i loro problemi ma diventa pericoloso, e ne ho parlato francamente con loro, se prendono decisioni cruciali per gli altri Paesi del mercato unico».

Una bacchettata che Sarkozy ha fatto fatica a mandare giù e che al tempo stesso, se ce ne fosse bisogno, conferma la volontà di Londra di non stare a guardare mentre si disegnano i contorni dell’economia e della finanza europea dei prossimi anni.

Anche perché al premier britannico non piacciono diversi possibili interventi sui servizi finanziari che potrebbero condizionare il mercato Ue, e che fra l’altro sono tutti ancora da definire. In questo senso la conferma da parte di Sarkozy e della cancelliera tedesca Angela Merkel di voler introdurre una Tobin tax sulle transazioni finanziarie, da inserire tra le priorità dell’agenda del prossimo G20, potrebbe aprire la via ad altre tensioni. Solo un mese fa proprio Londra si era mostrata perplessa davanti a una simile ipotesi.

Fatto sta che i toni accesi del presidente francese la dicono lunga sulle tensioni latenti tra le due sponde della Manica. Soprattutto in questa fase delicatissima per l’Ue, alle prese con la ristrutturazione del debito greco, la ricapitalizzazione delle banche, l’ampliamento del Fondo europeo salva-Stati e l’ultimatum all’Italia per mettere in piedi un pacchetto di misure che, oltre al rigore dei conti, preveda anche piano di sviluppo credibile. Il tutto in vista del vertice di mercoledì a Bruxelles.

E mentre infuria la polemica con Parigi, il governo di Sua Maestà britannica si trova a fronteggiare un’altra sfida, sempre legata all’Ue. Un gruppo di 78 parlamentari della Camera dei Comuni ha infatti presentato una mozione che propone un dibattito sull’appartenenza o meno del Regno Unito all’Unione europea, e chiede la convocazione di un referendum sull’argomento entro maggio del 2013.

Il quesito referendario, preparato dal deputato conservatore David Nuttall offre ai sudditi della regina Elisabetta II tre possibilità: mantenere la situazione attuale, riformare il ruolo e la presenza della Gran Bretagna nell’Ue o lasciare l’Unione. Tra i 78 parlamentari, per la stragrande maggioranza Conservatori, ci sono anche 9 laburisti e 8 parlamentari dei Democratici unionisti dell’Irlanda del nord. Alla discussione parlamentare, fissata per stasera tardi, si uniscono, idealmente, anche i 100 mila cittadini britannici che hanno firmato la petizione popolare proposta dall’eurodeputata britannica Nikki Sinclair e consegnata al 10 di Downing Street, la sede dell’esecutivo.

Ed è innanzi tutto l’esecutivo guidato da David Cameron a essere messo in difficoltà da questa iniziativa, tanto che il ministro degli esteri William Hague, in una intervista radiofonica, ha usato toni durissimi contro i parlamentari del suo partito: «E’ il modo sbagliato, nel momento sbagliato, per affrontare un tema complesso come quello del rapporto tra il Regno unito e l’Unione europea – ha detto Hague – Non è un argomento su cui la Camera dei Comuni, da sola, possa montare un disegno improvvisato».

Tanto il partito conservatore, quanto i laburisti e i liberal democratici (alleati dei tories ma tradizionalmente euro-entusiasti) hanno dato istruzioni ai propri parlamentare di votare contro la mozione. Ma se i lib-dem e l’opposizione laburista possono state relativamente tranquilli per la tenuta dei rispettivi gruppi parlamentari, i Tories hanno qualche inquietudine in più: una sessantina di parlamentari infatti hanno annunciato che non rispetteranno le direttive del partito, che è arrivato a minacciare che chiunque voti in modo difforme dalle indicazioni del governo e ricopra incarichi nell’esecutivo, dovrà lasciare il proprio posto. I laburisti, però, accusano direttamente il premier: Ed Milliband, leader del Labour party, ha detto che la responsabilità per una mozione capace di creare ulteriore panico sui mercati è di Cameron e del suo corteggiamento con l’ala euroscettica del suo partito.

di Tiziana Guerrisi