In effetti, si tratta della sorda resistenza degli stessi interessi economici e politici che si erano coagulati per il ritorno all’atomo, che lucrano sulle grandi opere e ostacolano la crescita di un sistema decentrato, integrato nei sistemi naturali, riconvertito a modalità di produzione e di consumo che nascono dall’autogoverno del territorio e dall’opposizione allo spreco.
Sabato 29 ottobre, le 35 associazioni della coalizione Fermiamo il carbone organizzano una manifestazione nel Polesine, ad Adria, contro la riconversione della centrale di Porto Tolle, e presidi a Saline Joniche, La Spezia, Vado Ligure e Brindisi. Porto Tolle, con l’emissione di oltre 10 milioni di tonnellate l’anno di CO2 – l’equivalente di oltre 4 volte le emissioni annuali di una città come Milano – diventerebbe la seconda centrale termoelettrica in Italia, in termini di inquinamento, dopo quella di Brindisi. Non a caso sono in corso prove mirabolanti di sequestro dell’anidride carbonica, con autobotti che viaggiano con CO2 liquefatta tra la Puglia e la pianura padana (Cortemaggiore), per ipotizzare un’attenuazione dell’effetto serra insostenibile per le due località.
Quali sono allora le giustificazioni al “Piano carbone”? L’Italia emette già oltre 70 milioni di tonnellate di CO2 annue in eccesso rispetto a quante concordate sottoscrivendo il Protocollo di Kyoto. Inoltre in Italia la potenza elettrica installata (centrali attive e collegate alla rete) è di 106 GWp. Il consumo massimo di picco del paese (che si registra in luglio) è di 56 GWh. Come se non bastasse, sono stati già approvati quasi 20GWp di nuove centrali a turbo-gas e ogni anno si collegano almeno 8GW di eolico e fotovoltaico.
Abbiamo troppe centrali e insieme una rete elettrica colabrodo, che nel 2008 ha perso oltre 20 mila GW. Quindi, le previsioni stesse escludono una richiesta di potenze aggiuntive e consigliano investimenti sulle reti, anziché sulle centrali. Ma il carbone alla borsa elettrica produce profitti molto più elevati ed è per questo che le centrali a carbone oggi attive in Italia viaggiano “a tutta manetta” a dispetto dei danni ambientali e dell’esuberanza di potenza disponibile.
Dal punto di vista ambientale non c’è bisogno di spiegare che la combustione del carbone è assolutamente incompatibile con il sistema del Delta del Po. Dal punto di vista occupazionale si verrebbero a creare 200 nuovi posti di lavoro, che sarebbero ampiamente ripagati dallo sviluppo in loco di biogas, biomasse, solare termico, efficienza degli edifici, accessi facilitati e consortili al fotovoltaico. Una buona ragione per fare delle manifestazioni del 29 ottobre il punto di partenza per un bilancio energetico locale-globale e per i suoi effetti climatici all’altezza delle sfide che si devono raccogliere anche sul proprio territorio.
In alto, la locandina della manifestazione “Fermiamo il carbone”. Per ingrandire clicca qui