Questi tre temi sono legati da un unico filo: il livello insostenibile dei tassi di interesse per l’Italia e per tutti gli altri paesi a rischio. Tassi superiori di 4 punti a quello tedesco (il famigerato spread di 400 punti base), come registrato venerdì scorso, non sono sostenibili né per lo Stato italiano, né per le banche, né per l’economia privata.
Per tornare alla normalità bisogna innanzitutto bloccare il contagio che dalla Grecia (ma anche da Portogallo e Irlanda) si è trasmesso a Italia e Spagna. Ciò richiede di trovare soluzioni finalmente credibili, che inevitabilmente comportano perdite per i paesi creditori, in primis Germania e Francia. Sono stati i banchieri a opporsi a soluzioni che comportassero per loro un costo immediato e solo a luglio avevano acconsentito a un taglio del 21 per cento sul debito greco. Troppo poco e troppo tardi. Adesso si parla di superare il 50 per cento e la reazione è stata furibonda. Ancora una volta si rischia l’impasse, tanto che è già stato annunciato che neanche questo weekend vedrà una soluzione definitiva.
In questo intricato processo in cui si decidono le sorti della moneta unica e dell’Europa, la Banca d’Italia è ovviamente solo una delle voci di un coro assai stonato. Ma può alzare la sua voce autorevole per far capire che siamo ormai a un bivio: bisogna far pagare i banchieri per salvare l’economia e l’Europa.
La Banca d’Italia ha poi la piena responsabilità della vigilanza su un sistema bancario che era fra i più robusti quando la crisi è scoppiata, ma che non può cullarsi sugli allori di quel risultato, ormai vecchio di quattro anni. Nel frattempo, molte delle posizioni di forza delle banche sono state erose e la redditività di base (prima condizione di solidità) è minacciata. Ma in questi quattro anni le strategie delle principali banche hanno continuato lungo le rotte di prima, come se nulla fosse successo e la crisi fosse solo uno spiacevole incidente di percorso. E continuano ad affermare imperterrite di essere robuste e patrimonializzate, candidandosi all’oscar per “le ultime parole famose”, come dimostrano le vicende della Banca Popolare di Milano.
Draghi non è stato tenero con le banche, tanto da suscitare più di un mugugno e addirittura rimpianti per Fazio. I fatti gli hanno dato ragione perché gli aumenti di capitale effettuati a malincuore dalle banche italiane hanno loro consentito di superare gli stress test di luglio, e neppure a pieni voti. Quella severità deve essere mantenuta e rafforzata perché la situazione si è aggravata.
Ciò significa mantenere alta la guardia perché le banche non cerchino facili scorciatoie per recuperare la redditività perduta, sia con operazioni altamente rischiose (il caso Dexia è esemplare di quanto l’indulgenza dei supervisori possa creare disastri irreparabili) sia aumentando senza ragione e in modo opaco i costi a carico dei clienti, soprattutto quelli più deboli.
Lo scorso 31 maggio Draghi aveva rivendicato con orgoglio di aver “tutelato con forza le ragioni della trasparenza e del mercato e avviato un dialogo aperto con l’industria bancaria e con tutta la collettività” per “rafforzare la protezione dei clienti delle banche”. Non è difficile prevedere che anche su questo secondo fronte le tensioni si inaspriranno: in tempi come questi, i banchieri sono sottoposti a tentazioni che fanno impallidire quelle dei santi, e la loro carne è assai più debole, quasi uno stracchino.
Come se non bastasse, la Banca d’Italia dovrà continuare la sua opera di guardiano implacabile della politica economica di governo. Le decisioni monetarie sono ormai prese congiuntamente a Francoforte, ma a Roma si deve verificare la compatibilità con le scelte europee. È stato proprio da via Nazionale che negli ultimi tempi sono venute le indicazioni più severe sulle risposte inadeguate del governo: la Banca d’Italia fin dalla fine dell’anno scorso aveva detto in Parlamento che le decisioni di politica fiscale erano sostenibili solo in un paese in grado di crescere almeno del 2 per cento all’anno e in questi mesi è stata una voce importante, autorevole e purtroppo inascoltata. Ignazio Visco dovrà continuare implacabile, perché la voce della Banca d’Italia è stata l’unica che in questi anni bui ha dato al paese credibilità.
Il Fatto Quotidiano, 25 ottobre 2011