L'ex presidente dell'Odg, oggi consigliere nazionale, ha accettato la nomina a capo ufficio stampa del guardasigilli Nitto Palma che, su volere del premier Silvio Berlusconi, deve affrontare il nodo del ddl intercettazioni
“In veste di capo ufficio stampa, mi limito a fare la cronaca perché i colleghi devono avere informazioni. Se io sono tifoso dell’Inter chiamato a una partita e l’Inter perde sono dispiaciuto. Ma sono obbligato a dare la notizia”. Lorenzo Del Boca, tre volte presidente dell’Ordine dei Giornalisti, giustifica così al Fatto quotidiano la sua nomina a capo ufficio stampa del ministro della Giustizia, dicastero “padre” delle leggi ad personam del premier e, soprattutto, del ddl intercettazioni. La famosa legge Bavaglio che il mondo dell’informazione ha sempre contrastato, perché considerata liberticida nei confronti dei cronisti e dei lettori, e contro la quale l’ordine dei giornalisti si è sempre schierata. In particolare negli anni di presidenza di Del Boca, terminata nel luglio 2010. La sua nomina a capo ufficio stampa di Nitto Palma, dunque, secondo la categoria solleva un problema di incompatibilità etica e morale, in quanto chi fino a poco prima era stato preposto alla difesa della libertà di stampa ora si trova a sedere sui banchi del governo Berlusconi che ha tra i propri obiettivi primari approvare la “legge Bavaglio” e vietare la pubblicazione delle intercettazioni.
Prima della pubblicazione della notizia, ilfattoquotidiano.it aveva tentato di contattare l’ex presidente dell’Odg senza ricevere risposta. Letto l’articolo, Del Boca ha deciso di replicare. Non scrivendo al giornale o contattando la redazione per chiedere una smentita ma pubblicando una nota su Facebook poi rilanciata anche dal sito dell’ex presidente dell’Ordine della Lombardia, Franco Abruzzo. Del Boca nel testo si difende accusando il Fatto. Così lo abbiamo chiamato noi. E questa volta ha risposto al telefono.
E al telefono Del Boca spiega di aver provato a copiare la sua replica nei commenti sotto il pezzo (“Non era possibile collegarsi. Ho tentato di mettere nella schermata che c’è in fondo e tutte le volte me la rifiutava”, dice) e, visto che superava il limite delle battute per i commenti (“lo so che è più facile scrivere ‘faccia da culo’, ma tante volte c’è bisogno di un’articolazione maggiore”, puntualizza) ha deciso di non seguire la consuetudine del diritto di replica comunicando con la testata (“Scusami, collega, – afferma – era la redazione che doveva contattare me e il fatto che non sia stato trovato non è una giustificazione sufficiente. Stendiamo un velo di pietoso silenzio, voi non mi avete trovato, accetto la giustificazione. ” Stendiamolo).
Andiamo alla questione centrale: il problema etico e morale sollevato dal Fatto Quotidiano, secondo del Boca, non ha nulla a che fare con la compatibilità formale della carica e riguarda la contraddizione tra il precedente ruolo di difensore della libertà di stampa dei giornalisti e quello di ufficio stampa del ministero della Giustizia. “Quali possibilità avrei di favorire la legge bavaglio se lavoro lì?”, chiede Del Boca che nella sua replica ha aggiunto: “Come per tutti coloro che vivono nel mondo della comunicazione, è difficile prescindere dall’editore ma – ovviamente – ciascuno conserva intatta la propria libertà di pensiero e di espressione”. Ma un editore non equivale a un Ministero di Grazia e Giustizia e il capo ufficio stampa, a differenza del giornalista di un quotidiano, non fa certo indagini e inchieste sul ministero perché, in questo caso, è a servizio della comunicazione di Via Arenula e dirama le sue comunicazioni ufficiali ai colleghi. Eppure Del Boca risponde che, a differenza del portavoce, che è “a servizio della persona”, il capo ufficio stampa è “a servizio dell’informazione” perché, come leggiamo nel comunicato, che il “capo ufficio stampa del ministero della Giustizia (come tutti gli uffici stampa della pubblica amministrazione) è determinato dalla legge 150\2000 ed è attribuito a giornalisti, impegnati ad assicurare informazioni complete e attendibili”.
E se l’ex presidente Odg, che in passato si era speso in parole durissime contro la legge bavaglio, si trovasse a scrivere il comunicato di un provvedimento restrittivo nei confronti dell’informazione? Per lui, prosegue, parliamo di “incompatibilità morale a futura memoria, nel caso dovesse succedere”. E aggiunge: “Io non ho firmato nessun documento liberticida, il mio ministro non è per i documenti liberticidi e ha dichiarato che questo della legge bavaglio è uno degli ultimi problemi del governo”. Sulle posizioni difese quando era Presidente, osserva: “Continuo a pensare quello che pensavo prima. Non occorrono leggi restrittive per i cronisti. Anzi, bisognerebbe proteggere il giornalista, ad esempio, dagli impicci del risarcimento civile, che è un’intimidazione per l’informazione.
Inoltre la difesa o l’attacco di provvedimenti contro la libertà di informazione, prosegue Del Boca, “non fa più parte del mio incarico. Ma con altrettanta nettezza posso dire che un comunicato del genere né lo scrivo né lo firmo”. Ma aggiunge: “Se lo scrivessi e lo firmassi, poi, non ci sarebbe questa grande contraddizione perché mi limito a fare la cronaca e a mettere a disposizione dei colleghi che scriveranno le informazioni. Questo è l’ufficio stampa. Il tramite fra le istituzioni e i colleghi”.
Del Boca è convinto: “Nel caso in cui ci fosse una disposizione legislativa, l’ufficio stampa racconta quello che è successo”. Per l’ex presidente, quindi “dal punto di vista giornalistico non c’è nessuna differenza per il tipo di lavoro” tra essere cronisti “alla Stampa o al Ministero della Giustizia”. Dunque non trova nessuna incompatibilità etica tra il suo incarico di oggi e quello ricoperto in passato? “No, nessuna”. E conclude: “Prima rappresentavo la categoria. Oggi non la rappresento più. Le cose le devono dire altri e sono altri che devono combattere la battaglia che oggi porto avanti da soldato”. Sì perché Del Boca è ancora oggi consigliere nazionale dell’Ordine. Non ha finora espresso l’intenzione di dimettersi e partecipa alle riunioni del Consiglio dove vengono discusse le misure da adottare per contrastare le leggi liberticide del governo Berlusconi.