Sul pennone di Palazzo Chigi sventola la bandiera dell’orgoglio nazionale: guai a chi (sor)ride di noi, Sarkozy o Merkel che siano. Ma domani, a Bruxelles, che cosa andrà a raccontare il Cavaliere, dopo avere promesso mari – riduzione del debito – e monti – innalzamento dell’età delle pensioni? Un pastrocchio di condoni e di mezze misure: né quel che vuole, né quel che deve fare, ma quel che può fare perché il ‘governo dei comprati’ non si squagli.

Se vuole affermare la propria sovranità, le cose che servono per restare nell’euro e nella Ue, l’Italia deve farle per scelta propria, non perché glielo dicono con scherno, che è peggio che con imperio, Francia e Germania o anche il Consiglio europeo, l’areopago dei leader dei 27. Perché l’Unione europea è un progetto nostro, italiano come francese e tedesco e dei Paesi del Benelux: ne fummo ispiratori e fondatori.

Fra le due vie più battute in queste ore, quella dello spirito patriottardo (giù le mani dalla nostra sovranità) e quella da “muoia Sansone con tutti i filistei” (giù Berlusconi, anche se con lui va giù il Paese), la strada maestra è tutta un’altra: un’Italia europea per scelta e per volontà, dove la riduzione del debito e le politiche di sviluppo, l’innalzamento dell’età pensionabile e l’utilizzo efficace e pronto dei fondi europei sono scelte partecipi e volute.

Certo, i comportamenti grotteschi e paradossali del premier Berlusconi, che chiede pubblicamente a Bruxelles che la riforma delle pensioni gli venga imposta dall’Ue, perché lui non riesce a farla, o che annuncia a raffica programmi che poi neppure presenta, comportano un rischio di perdita di sovranità implicito: come è avvenuto per la Grecia, se conti frottole e poi non riesci e mettere in ordine casa tua, Bruxelles ti aiuta, ma devi fare a modo suo: “Lavoreremo con l’Italia mano nella mano”, dice Van Rompuy, come si fa coi bambini.

L’Italia non è ancora la Grecia e mai lo sarà: è un Paese dove le famiglie hanno risparmi superiori al debito pubblico; e con un’industria manifatturiera solida. Eppure, il mix letale di un premier senza credibilità e di un governo senza nerbo consegna fette di sovranità alla Ue, e quindi oggi al duo franco-tedesco, e alla Bce (dove, ora, c’è un italiano che tutti rispettano, Mario Draghi).

La risposta è più Italia in Europa: decidere e fare, insieme, come facemmo nel ’57, nel ’91, nel 2001. Quando l’Unione si fa, noi ci siamo. Almeno, finora è stato così.

Il Fatto Quotidiano, 25 ottobre 2011

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