Nel 2011 la coltivazione del papavero è aumentata del 7 per cento e la redditività per ettaro raddoppiata, denuncia il rapporto dell'Ufficio Onu su droga e crimine. Una vera industria nazionale che arricchisce molti, talebani e signori della guerra compresi
A dieci anni dell’attacco occidentale al regime dei Talebani, era il 7 ottobre 2001, Osama Bin Laden è morto, ma i narcotrafficanti stanno benissimo. E quest’anno possono mettere a bilancio il raddoppio del costo dell’oppio, associato a una maggiore produttività del terreno, e un ancora maggiore peso nell’economia nazionale. Rispetto alla Guerra alla droga non sono risultati da poco. Presentando il rapporto, il direttore dell’Unodc Yuri Fedotov si è congratulato con il ministero antidroga e la polizia afghani per aver “lavorato sodo”, per poi concludere con l’innegabile gravità dei dati presentati: il “messaggio forte di fronte al quale non si può restare letargici”. Il suo statement è un sofferto appello alla comunità internazionale, che “può e deve fare di più”, riassunto anche nei 140 caratteri del suo account Twitter. Per la prima volta nel report annuale vengono abbandonati ogni ottimismo e rassicurazione e la preoccupazione è espressa senza tanti giri di parole.
L’unico risultato positivo presentato dall’Unodc è legato alle eradicazioni delle piante, tema peraltro controverso, sul quale gli stati membri hanno posizioni differenti. Ma se è vero che la crescita percentuale della superficie “liberata” dalla coltivazione dei papaveri è stata del 65 per cento, è vero anche che tale crescita si traduce in un migliaio di acri in più rispetto al 2010, per arrivare a 3.800, “solo il 3 per cento dell’intera area coltivata” lamenta Fedotov. Mentre l’aumento del prezzo dell’oppio, triplicato dal 2009, incentiva i contadini a passare a questa attività, e quando invece la evitano non è per paura della repressione governativa, ma per la scarsa aderenza ai precetti dell’Islam, dice ancora il rapporto. L’Afghanistan con le sue 5.800 tonnellate produce oggi il 95 per cento della quantità totale di oppio che circola al mondo (equivalente, una volta raffinato, a circa 600 tonnellate di eroina).
La produzione afghana si concentra nelle province a sud e ovest, confermando, dice il rapporto, “la connessione osservata dal 2007 tra insicurezza e coltivazioni”. Un punto che pare stare a cuore al direttore Fedotov, che ricorda come produzione e traffico di stupefacenti alimentano corruzione e criminalità. Connessioni che producono instabilità sia in Afghanistan che a livello globale: “Bruciamo tutti sulla stessa fiamma”. L’oppio porta potere e profitti e un intreccio di interessi per signori della guerra, militari, politici, trafficanti e ovviamente talebani.
Lo zar Yuri Fedotov, ex diplomatico ed ex ministro della Federazione Russa, si è insediato poco più di un anno fa alla guida dell’Unodc prendendo il posto dell’italiano Antonio Maria Costa (e rompendo una tradizione, quella della guida italiana, che durava dal 1982, interrotta anche per il taglio dell’80 per cento dei contributi italiani all’agenzia). Conosce bene le “connessioni causali” tra traffico di droga e guai, visto che proviene da un’area che sta pagando prezzi altissimi l’essere luogo di transito e smercio di quantità sempre più consistenti di eroina afghana, il cui abuso ha raggiunto livelli endemici. Mentre il governo si limita per lo più a incarcerare i tossicodipendenti e non pare in grado di fronteggiare l’emergenza con strumenti politici e sanitari efficaci e rispettosi dei diritti umani.
La situazione russa è speculare a quanto si sta verificando lungo tutte le vie del traffico internazionale, che dall’Afghanistan vanno verso Nord, attraverso l’Asia centrale, per approdare in Europa e Russia, o verso Ovest, attraverso Iran, Turchia e Europa, o verso Sud, attraverso Pakistan e India. Arrivano in Africa, negli Usa, in Cina, in Australia. L’Afghanistan per primo però paga il prezzo anche sociale, umano, dell’essere diventato un narcostato. Nonché, sempre seguendo le parole di Fedotov e del Report dell’Unodc, “uno dei Paesi con la più alta quota di consumatori di oppio nel mondo. Il Paese sta inoltre assistendo a un’epidemia di Hiv, concentrata fra gli assuntori di droga”. Nella produzione invece sarebbe coinvolto solo il 5 per cento della popolazione.
Nel 2010 la produzione di oppio aveva registrato una battuta d’arresto: non per l’azione di polizia o di organismi internazionali, ma per la perniciosa presenza di un parassita che danneggia le piante. Risolto il problema agricolo, la produttività delle coltivazioni ha ricominciato a crescere per tornare ai livelli degli anni passati. Da molti anni l’Afghanistan ha soppiantato nella produzione di oppio il cosiddetto Triangolo d’oro, Thailandia, Birmania e Laos, dove peraltro sta riprendendo quota, come sta accadendo anche in Messico.
In Afghanistan non si coltiva solamente: sulle vie del narcotraffico non viaggia solo l’oppio grezzo, ma l’eroina già raffinata, in laboratori dove lavorano i “chimici” migliori sulla piazza, turchi e iraniani. Che processano in loco la maggior parte dell’oppio qui prodotto. E’ anche così che il miliardo e mezzo di dollari che frutta la sola vendita delle piante (oggi il papavero essiccato frutta ai coltivatori 240 euro al chilo) si moltiplica in maniera esponenziale (l’eroina raffinata viaggia in Afghanistan sui 4 mila dollari al chilo), arrivando a comporre in realtà la metà del Pil nazionale. Il giro d’affari mondiale per i soli oppiacei è di quasi 70 miliardi di dollari, come quantificato nel World Drugs Report emesso sempre dall’Unodc. Sul fronte della guerra ai Talebani le notizie non sono buone, su quello della guerra alla droga sono anche peggiori.
di Valentina Avon