L'atleta non ha convinto i magistrati che nei prossimi giorni firmeranno la citazione diretta a giudizio. La giustizia sportiva ha già chiesto una sospensione di 12 anni che per lui vorrebbe dire fine della carriera
Anche oggi il ‘Cobra‘ ha sostenuto come il blocco renale seguito a un allenamento fosse dovuto ad un’iniezione di sostanze ferrose. A sostegno di questa tesi, assistito dall’avvocato riminese Fiorenzo Alessi, ha consegnato alla magistratura la consulenza tecnica contenente il parere del medico di base. Riccò ha dunque smentito di aver confidato ai sanitari dell’ospedale l’emotrasfusione tramite una sacca di sangue conservata in frigorifero da 25 giorni:”All’alba di domenica sono svenuto, non ricordo cos’è accaduto poi perché mi sono svegliato in ospedale e riassopito più volte”, ha detto il corridore in Procura, sottolineando che “tutti i ciclisti sono capaci di farsi un’iniezione“.
La spiegazione non ha convinto il Pm Mazzei, che in questi mesi ha raccolto gli opposti pareri dei medici del nosocomio e la perizia del Nas dei carabinieri. Dunque Riccò nei prossimi giorni sarà citato direttamente a giudizio, senza passare attraverso l’udienza preliminare come consentito per il reato di violazione della legge antidoping (l’autoemotrasfusione infatti è una pratica dopante secondo il codice Wada).
Il ‘Cobra’ era già finito nell’occhio del ciclone nel 2008 per l’utilizzo di Epo al Tour de France, vicenda per cui è stato squalificato venti mesi e condannato a circa 12mila euro di multa dal tribunale di Padova e dalla giustizia transalpina (che non considerò il principio di ‘ne bis in idem’). Ora, se sarà riconosciuto colpevole dalla magistratura ordinaria, rischia una pena da 3 mesi a 3 anni, mentre la procura nazionale antidoping, sulla base degli atti modenesi, ha già chiesto 12 anni di sospensione, una maxi-squalifica che per Riccò significherebbe la fine della carriera.