Se Steve Jobs avesse dovuto contare sulla Fifa per fare affari, oggi la sua “mela” sarebbe probabilmente un ricordo lontano. E’ cosa nota: al massimo organismo di governo del calcio mondiale la tecnologia non piace, o piace poco. Per questo, sorprende fino ad un certo punto l’ennesima presa di posizione che arriva dal gruppo di super esperti chiamati a decidere sulle regole del gioco: niente iPad o iPhone in panchina, perché “l’allenatore potrebbe rivedere tutte le immagini della partita, anche al rallentatore. Di fatto, è come avere la moviola in campo”.
No, non sono parole di Sepp Blatter, il “grande vecchio della Fifa”, che da 13 anni siede sulla poltrona di comando del pallone internazionale e che in passato ha avuto modo di affermare che “la tecnologia non è sportiva, il calcio è bello perché è umano”. I cari saluti ai due strumenti della Apple sono firmati da Demetrio Albertini, vicepresidente della Federcalcio, che rappresenta il nostro Paese nell’International Board, il comitato di saggi che decide cosa e come fare per innovare il calcio. Ne fanno parte personaggi di tutto rispetto, come Franz Beckenbauer, Bobby Charlton e Pelè, ex stelle del campo che hanno provato sulla propria pelle (ops, gambe) cosa significa giocare a pallone sul serio. Ecco, è a loro che l’iPad in panchina proprio non va giù.
Pare che l’International Board sia chiamata in gergo, un po’ per scherzare, un po’ per dire con il sorriso una verità che è da tempo sotto gli occhi di tutti, “The Guardian of the laws of the game”, “i guardiani delle regole del gioco”, come si trattasse di un nuovo romanzo della Rowling sul maghetto di Hogwarts. Da quelle parti, il credo è “nuova regola, vecchia tecnologia”. Tutto ciò che ha a che fare con un computer viene visto con sospetto. Come dice il grande capo, “il calcio è bello perché è umano”, e poco importa se la correttezza e la regolarità delle partite potrebbero trarne un vantaggio. Si va avanti lo stesso, come si fa da sempre. Il mondo avanza e il calcio no, rimane indietro.
Se passasse la proposta della task force Fifa, uno dei tanti a fare il muso lungo sarebbe l’inossidabile Mourinho, che durante le gare dà sempre una sbirciatina all’iPad che smanetta il suo secondo in panchina. Non potrà più vedere l’azione precedente al rallenty e quindi non potrà più scagliarsi contro il quarto uomo per fargli sapere che è un incompetente perché ha deciso male. Guai a parlare di moviola in campo alla Fifa. Ci hanno pensato per qualche anno, poi hanno fatto marcia indietro, lasciando tutto com’era. Porte aperte soltanto alla moviola post partita, per decidere e, nel caso, cambiare le decisioni del giudice di gara. Gol fantasma? Succede, siamo umani, meglio non intervenire con telecamere ai lati della porta per capire cosa capita dalle parti del portiere. Un arbitro è più che sufficiente.
Dunque, la Fifa vuole bandire gli strumenti di comunicazione disponibili oggi sul mercato. La direzione è chiara e precisa. Ma il suo raggio d’azione riguarda inevitabilmente il campo da gioco e gli eventi ufficiali. Tutto ciò che accade fuori, negli spogliatoi o durante la settimana, è di competenza delle società, che possono agire in completa autonomia. Per capirci, un giorno non troppo lontano potrebbe capitare che un club vieti ai suoi atleti di ascoltare musica prima delle partite o di iscriversi ad un social network per chattare con amici e parenti e dire la propria sul mondo del pallone. Ecco, in Inghilterra hanno già fatto qualcosa di simile. Qualche mese fa, il manager del Nottingham Forest, tale Steve Cotterill, ha disposto multe salatissime per i giocatori che utilizzano Facebook o Twitter, 1000 sterline a parola. Perché? Semplice, pare che uno dei suoi ragazzi, l’attaccante Miller, abbia scritto qualche parola di troppo. Come dire, il calcio è roba seria e va controllato come si conviene, costi quel che costi. Blatter non potrebbe che essere d’accordo.