Sotto processo due militari accusati di concussione. Il loro superiore va a testimoniare e, in merito a una sua telefonata in cui se la prendeva con la parte offesa, spiega che il suo linguaggio "è tipico da caserma"
Nel corso dell’udienza di oggi sono stati esaminati tre testimoni. Tra questi l’attuale colonnello dei carabinieri del comando provinciale di Vicenza, Michele Vito Sarno, allora comandante del quadrante Est del Noe, che di fronte al collegio del Tribunale avrebbe fatto alcune dichiarazioni su un’intercettazione telefonica che lo riguarda, nella quale – come riportato in aula – disse che “dobbiamo fare di tutto e di più per incularci ‘sti bastardi” (riferendosi ai titolari della ditta Niagara, parte civile nel processo): “quello che dico rientra nell’ottica di rinsaldare i ranghi di un rapporto – dice in aula Sarno -, è un modo di parlare tipicamente da caserma, che si usa e che non ha nulla a che vedere con la realtà. È un termine militare”.
Oltre a lui sono stati sentiti anche l’amministratore delegato di Hera Ambiente, società del gruppo Hera che gestisce il trattamento di rifiuti, Claudio Galli e il responsabile commerciale della ditta Alfarec srl, Jacopo Pellicciari.
Le indagini ebbero inizio con la denuncia dei rappresentanti della Niagara srl, una ditta di Poggio Renatico (Ferrara), che si occupa di smaltimento di rifiuti speciali, liquidi e semi liquidi. Ditta sottoposta spesso a controlli da parte dell’Arpa e del Noe dei carabinieri. Secondo l’accusa il luogotenente Sergio Amatiello e il maresciallo Vito Tufariello (entrambi a processo) avrebbero indotto Mauro Carretta (titolare della Niagara) a promettere loro una somma di denaro tra i 20 mila e i 40 mila euro per ammorbidire le conclusioni dell’informativa finale da depositare in Procura. Dalle intercettazioni telefoniche emergono una serie di presunte minacce di chiusura e sequestro dell’azienda, di arresto e, appunto, richiesta di denaro da far transitare in uno studio legale di fiducia.
Sarebbe secondo l’accusa Marco Varsallona, imprenditore della società Alfarec srl, anch’egli a processo per concussione e legato da una stretta amicizia ai due militari, ad indicare a Carretta e a Fabiana Cosmar, dipendente della Niagara, la necessità di pagare i militari del Noe per evitare, quanto meno, la richiesta di sequestro dell’azienda, con la contropartita inoltre di non richiedere nell’informativa finale misure cautelari personali.
La difesa degli imputati, portata avanti dagli avvocati Marco Zanotti, Stefano Manzini, Marco Caroppo, Mariano Rossetti e Desi Bruno (moglie di Amatiello), cerca da sempre di puntare il dito contro la ditta di Mauro Carretta, sostenendo la falsità delle accuse e ritenendo il processo una “vendetta” per le indagini del Noe sulla Niagara: indagini che portarono, però, alla richiesta di archiviazione.
Davanti al collegio, il colonnello Michele Vito Sarno, comandante del Noe per il Nord Italia dal 2003 al 2009, ha dichiarato la sua totale stima per i colleghi: “Amatiello è una delle colonne del Noe, ha grande esperienza, così come Tufariello, militare eccellente, validissimo”. “Mi lasciò basito quell’avviso di garanzia – continua il colonnello -, per un reato gravissimo per chi fa questo lavoro. Sentii così la necessità di andare dall'(ex) procuratore capo di Ferrara, Rosario Minna (sul quale ilfattoquotidiano.it ha raccontato i motivi del trasferimento da parte del Csm) e dirgli che i miei collaboratori venissero esaminati al più presto, confidando sulla lealtà della magistratura. Dissi che quando si sarebbe diradata la nebbia, si sarebbe dovuta fare chiarezza nei confronti dei titolari del Niagara, per i quali però – precisa – non chiesi nessuna misura cautelare”. Frase che ha portato il presidente del collegio Rita Zaccariello a difendere i suoi colleghi magistrati, dicendo che “noi supponiamo che l’Arma valuti bene il lavoro dei magistrati”.
Ma la difesa di Sarno nei confronti dei suoi sottoposti, e la sfiducia per un’indagine definita anche in aula “bieca e becera” fu un atto di fede o una valutazione razionale? “Fu una scelta razionale – dichiara il colonnello – perchè circolava il nome dei titolari di Niagara in un’attività investigativa a Forlì-Cesena”, l’indagine Lucignolo dove a indagare fu lo stesso Tufariello e che vide lo stralcio della posizione di Niagara per competenza territoriale, poi però archiviato.
“L’imputazione verso i miei colleghi mi sembrava astratta, un’accusa infondata” continua Sarno. Dichiarazione dovuta al fatto che, secondo il colonnello, erano già state mandate all’autorità giudiziaria in una bozza eventuali “misure personali o reali” nei confronti dei rappresentati di Niagara, motivo che renderebbe a suo parere impossibile la richiesta di denaro contestata. Ma Sarno chiarisce di non conoscere la bozza nei dettagli, “non posso scendere in tutti le indagini, non sapevo i nomi, ma solo un sunto”.
L’avvocato di parte civile che difende i rappresentanti della ditta Niagara, Fabio Anselmo, nel corso dell’udienza ha concentrato le sue domande intorno a due intercettazioni del 2009 tra il colonnello e Tufariello, che però non sono agli atti e di conseguenza non sono oggetto del processo. Motivo per cui l’avvocato ha fatto richiesta di revoca di quell’ordinanza, “alla luce delle parole del colonnello”.
In quelle intercettazioni i due parlano dell’inchiesta in corso, e il colonnello esprime la sua totale e piena solidarietà e vicinanza agli indagati, con toni a volte forti e accesi. Tra questi alcuni sono stati pronunciati in aula: “dobbiamo fare di tutto e di più per incularci ‘sti bastardi” avrebbe detto Sarno in riferimento alla ditta Niagara, una dichiarazione giustificata dal fatto che “quello che dico rientra nell’ottica di rinsaldare i ranghi di un rapporto, è un modo di parlare tipicamente da caserma, che si usa e che non ha nulla a che vedere con la realtà. È un termine militare”. E Sarno continua dicendo di aver parlato “da un punto di vista affettivo, gli dissi quelle cose da un punto di vista umano”. Un’altra frase dell’intercettazione pronunciata in aula riguarda l’indagine, una “manovra bieca e becera” la definisce Sarno. Frase anch’essa giustificata: “Stavo rinsaldando gli animi ai miei collaboratori, per stargli vicino. Può anche essere una manovra strumentale, non lo penso, ma pur di tirare su il morale… Sia reale o non reale quelle parole erano importanti, vitali”.
Oltre al colonnello è stato sentito anche Claudio Galli, teste della difesa di parte civile, davanti al collegio del Tribunale ha dichiarato di aver subito “tanti controlli da parte del Noe. Numerose furono le indagini, anche su di me personalmente. Alcune furono archiviate, altre finite con l’assoluzione, altre ancora con una sentenza di non luogo a procedere”. Galli conosce Amatiello dal 2004, “quando, nel periodo di Fangopoli, fui indagato e più volte interrogato. Trovai una grande disponibilità al confronto, – ha continuato l’amministratore delegato – anche per interpretare norme di legge emanate” in materia di rifiuti. I due, infatti, si sarebbero più volte incontrati nell’ufficio di Amatiello o al ristorante per parlare di certi temi tecnici: “Ho i consulenti legali più bravi d’Italia, ma ritengo doveroso consultare anche le istituzioni, pur se formalmente può non sembrare corretto” chiarisce. E Amatiello in uno di questi incontri segnalò a Galli il nome di Varsallona, uno dei tre imputati. Il carabiniere avrebbe parlato delle difficoltà della ditta Alfarec, dovute alla saturazione per lo stoccaggio di alcuni rifiuti, che se non avesse stoccato avrebbero potuto portare ad interrompere l’attività. “Segnalai ai miei collaboratori la questione – ha detto Galli – e il risultato fu soltanto un lamento da parte di Varsallona per il prezzo troppo alto”. Ci fu, infatti, una trattativa del tutto lecita tra Hera Ambiente e Alfarec per smaltire quei materiali. Secondo Galli “la segnalazione di Amatiello non è anomala”, contrariamente alla tesi della difesa di parte di civile, anche se, come Galli stesso ha ammesso, fu comunque la prima da parte di un componente del Noe, “un unicum”.