Il conto alla rovescia è finito, ormai la fine di Gheddafi era solo questione di tempo. Sul clown assassino, un personaggio che sembrava uscito dalla penna di Stephen King, si è già detto tutto. Rimarrebbe invece qualcosa da dire sui pagliacci ancora in giro, quelli che dentro e fuori il tendone da circo beduino hanno esibito numeri di alta scuola, a partire dall’uomo di latta, il robottino Frattini.
Progettato per sparare cazzate senza battere ciglio e volendo su una gamba sola, sul Rais il robottino si è costruito una reputazione internazionale. Un mese prima dell’inizio della rivolta, senza ridere, disse dell’uomo che aveva fatto esplodere un aereo di linea (su Lockerbie, Scozia) uccidendo 270 persone: il suo controllo antiterrorismo è fondamentale. Il 21 Febbraio, quando di connazionali il Rais ne aveva già uccisi a migliaia, Frattini dichiara: C’è pieno rispetto da parte Italiana per la “ownership” libica.
Forse intendeva leadership, comunque a parte lui ridono tutti. Insieme a B, il pagliaccio plasticone che lo programma, si oppongono strenuamente a qualunque intervento militare a sostegno della popolazione civile libica, salvo poi deliziare il pubblico in mondovisione con una bella piroetta, seguita dall’invio di una dozzina di cacciabombardieri. Ma è troppo tardi. Germania, Francia e Inghilterra, nazioni senza senso dell’umorismo, non lo invitano più quando devono discutere questioni serie.
Il giorno in cui il rais viene sforacchiato, robottino si presenta con un software nuovo di zecca, in grado di fargli dichiarare senza arrossire: la morte di Gheddafi è una grande vittoria del popolo libico.
Fortunatamente nel sistema operativo del robottino non c’è un programma in grado di fargli provare vergogna. Perché se fosse un uomo, per il danno arrecato alla nazione che rappresenta e alla sua reputazione personale, avrebbe già dovuto autoesiliarsi in un paese lontano, tipo Panama, in compagnia del furfante che soleva accompagnarlo nelle sue missioni ufficiali all’estero.
di Andrea Garello
Il Misfatto, domenica 23 ottobre 2011, inserto satirico de Il Fatto quotidiano