Un documentario di Alessandro Quadretti e Domenico Guzzo ripercorre le tappe dell'attentato del 4 agosto 1974. Decine di testimonianze, estetica e musica anni Settanta, budget risicato: "A chi si affaccia oggi su quella tragedia resta soltanto una plausibile ricostruzione storica, ma nessuna certezza giudiziaria”
Ciò che avvenne sull’espresso Italicus, diretto da Roma Tiburtina a Monaco di Baviera il 4 agosto 1974, all’immediata uscita della galleria ferroviaria di San Benedetto Val di Sambro, con 12 morti e 105 feriti, di cui 44 gravi, rappresenta il più sanguinoso attentato terroristico dinamitardo degli anni Settanta.
Il giorno della strage il treno, che viaggiava con 400 passeggeri a bordo, ritardò di 26 minuti sulla tabella di marcia, partendo dalla stazione fiorentina di Santa Maria Novella. Senza quel ritardo la deflagrazione della bomba alla termite, che squarciò la quinta carrozza, sarebbe avvenuta in corrispondenza della stazione di Bologna. E allora la storia tramanderebbe un numero ben diverso di vittime e feriti: quello, forse, di un’ecatombe.
Nonostante l’importanza della strage, nella valutazione di un periodo complesso e oscuro come quello dello stragismo italiano di matrice neofascista, “questa tragedia -precisa lo storico Domenico Guzzo– si presenta come la strage meno ricordata, meno commemorata, meno analizzata e considerata dalla storiografia e dalla memoria nazionale. Una tale negligenza del ricordo è dovuta a ragioni che vanno dall’assenza di un’associazione di familiari delle vittime alla sfortunata coincidenza di date con la strage di Bologna del 2 agosto 1980 che, con la sua preminenza mediatica, monopolizza ogni agosto i dibattiti commemorativi sul dramma della violenza politica in Italia”.
“A chi si affaccia oggi su quella tragedia, resta soltanto una plausibile ricostruzione storica, ma nessuna certezza giudiziaria”, sostiene il coregista Quadretti. Anche Guzzo è scettico sulla possibilità che si faccia luce definitiva sul ruolo di attentatori e mandanti: “Temo che non si arriverà alla realtà e non perché il governo italiano abbia posto 3 volte il segreto di Stato, quanto perché il progetto di destabilizzazione della politica interna italiana, una volta raggiunto lo scopo di evitare una deriva a sinistra, non ha mai avuto interesse a svelare il suo comportamento e ora più passa il tempo più diventa difficile distinguere ciò che è vero da ciò che è verosimile”.
Due le testimonianze inedite nel film, quelle di Marco Affatigato e Mario Tuti, rappresentanti della cellula toscana del Fronte nazionale rivoluzionario; mentre sono più di una ventina gli intervistati tra cui magistrati, rappresentanti delle istituzioni, avvocati, storici e giornalisti: Leonardo Grassi (presidente della Corte d’Assise di Bologna e istruttore del processo “Italicus – bis”), Vito Zincani (procuratore capo di Modena), Sergio Flamigni (senatore, membro delle Commissioni parlamentari d’inchiesta Moro, P2 e Antimafia), Valter Bielli (membro delle Commissioni d’inchiesta Stragi e Mitrokhin) e Giovanni Pellegrino (presidente della Commissione stragi), Claudio Santini e Aldo Balzanelli (cronisti al processo Italicus) e Nicola Rao (giornalista Rai ed esperto del neofascismo italiano).
Prodotto da Officinemedia, 4 agosto ’74, la strage dimenticata è stato realizzato con il contributo della Fondazione Roberto Ruffilli, dei Comuni di San Benedetto Val di Sambro, Castiglione dei Pepoli e Forlì, del sindacato pensionati italiani (Spi) di Cgil, di Endas Forlì-Cesena, della Camera del lavoro metropolitana (Cdlm) e della Federazione italiana lavoratori trasporti Cgil di Bologna. Sorprende l’assenza dei grandi sponsor istituzionali: “Ci hanno detto di no in tanti, i più grossi –afferma Quadretti – un documentario del genere sarebbe potuto costare tranquillamente 30 mila euro, noi siamo riusciti a spenderne un quinto”. Guzzo si è occupato principalmente della ricerca storica. Quadretti ha curato regia e fotografia, girando in Hd e avvalendosi di materiale in Super8, adatta soprattutto a ricreare un tono fotografico riconducibile agli anni Settanta. Il sound design di Gianluca De Lorenzi si è ispirato al grande cinema d’inchiesta italiano di quell’epoca, in particolare al lavoro di Piero Piccioni.
“L’analisi e la ricostruzione storica – spiega il regista Alessandro Quadretti – sono alternate a sguardi privati, destinati a raccontare i riflessi più intimi dell’evento terroristico. Il ritmo del montaggio scandisce un dialogo ideale tra la sfera prettamente storico-politica di studiosi, magistrati, giornalisti, ex-terroristi e quella interiore espressa dal vissuto di alcune vittime, tramite foto e ricordi familiari”.
Tra le storie delle dodici vittime dell’attentato, il documentario si sofferma in particolare su quelle del turista giapponese Tsugufumi Fukada, del ferroviere forlivese Silver Sirotti (medaglia d’oro al valor civile, morto a 24 anni nel tentativo di soccorrere i passeggeri) e della famiglia Russo: morirono padre, madre e un figlio, mentre altri due rimasero gravemente ustionati.