Bisogna tornare ai giorni caldi dei tagli ai finanziamenti per l’editoria, quelli dell’autunno 2009, per comprendere il mix che ruota intorno ai milioni di euro che aiutano i quotidiani italiani ad andare in edicola. Bisogna tornare a quei giorni, ai dibattiti nelle commissioni e in Parlamento e rileggere la storia alla luce delle intercettazioni, che vedono protagonista Valter Lavitola, depositate dalla procura di Pescara.
Partiamo da un dettaglio, una telefonata all’apparenza insignificante, descritta nei brogliacci, che porta la data del 27 ottobre 2009: “Il dottor Lusiner dell’Avvenire chiama Valter Lavitola: i due parlano della mancanza di copertura del capitolo editoria”. Il punto è che l’Avvenire è il maggiore quotidiano d’area cattolica esistente in Italia, con una tiratura di 150 mila copie, che in edicola si trova, si vende e crea opinioni. L’Avanti! diretto da Valter Lavitola, che ne era l’editore, nel 2010 ha ricevuto 2,530 milioni di euro, maturati proprio nel 2009 delle intercettazioni, ma consta di sole 4 pagine, è quasi inesistente in edicola. E allora: perché un uomo dell’Avvenire discute, proprio con Lavitola, dei contributi per l’editoria? La risposta è nell’elenco di intercettazioni depositate: Valter è il “lobbista” che fa da cerniera con il potere, scomoda la segretaria del premier e il premier in persona, suggerisce emendamenti, chiama quando vuole Elisa Grande – responsabile per l’editoria della presidenza del consiglio – preme addirittura su Gianni Letta e scavalca, facendolo innervosire parecchio, persino il responsabile istituzionale: Paolo Bonaiuti. Eppure sappiamo che il vero interesse di Lavitola, sono aziende dedite alla pesca sparse per il mondo, il business con Finmeccanica e Panama, e l’editoria diventa il suo pallino solo quando piovono – anzi: rischia che non piovano – i finanziamenti pubblici.
Ecco: il mix tra l’editoria vera, come l’Avvenire, e l’editoria che punta soprattutto ai finanziamenti, come il Lavitola de L’Avanti, in queste intercettazioni diventa plastico. E rischia di inficiare il senso di una legge pensata per tutelare il pluralismo, con testate com il Manifesto, l’Unità, l’Avvenire, che di quei finanziamenti pubblici hanno bisogno per fare il proprio mestiere. Lavitola – nella sua attività lobbistica – cerca di coinvolgere Denis Verdini – proprio in queste ore sotto indagine per altri finanziamenti pubblici per l’editoria. Il 12 ottobre 2010 Valter parla con Vincenzo Ghionni, che gli dice “che il problema che hanno (capitolo editoria) è come diceva lui, anche più grave di come lo esponeva, che in più, in merito ai 70 milioni di euro, su cui stanno combattendo, non sono sufficienti”. Soldi. Solo soldi. Lavitola risponde che “con 70 milioni ce la faranno, ci pagheranno il 100 % di tutto”. Vincenzo risponde “dice di aver chiamato la Lega, di aver allertato l’amministratore delegato della Padania (…) poi ha parlato con l’Udc, con Adornato (…)”. Lavitola aggiunge che Bonaiuti ha scritto una lettera a Tremonti che gli ha risposto dicendo che i soldi non li ha in quanto non è stato fatto il gettito di entrata, che comunque lo farà solo se glielo dice Berlusconi, sostiene che lui sta cercando di sensibilizzare Berlusconi al quale gli ha mandato un appunto che lui non ancora legge, mentre Fini si sta muovendo (…). Di insistere molto su An, sulla Lega e Verdini (…)”.
In quei giorni gli editori pensano di scrivere una lettera al governo per evitare i tagli all’editoria. Scopriamo che – oltre alla pressione di un emendamento – Lavitola si occupa anche di questo. Al solito Vincenzo dice che “la cosa importante sarebbe che intervenisse pure Libero”. Vincenzo risponde che “quello è un problema e che Polito ha già firmato”. Valter gli dice che “Libero dovrebbe intervenire facendo una telefonata alla segreteria di Berlusconi”. Valter propone “di far intervenire Belpietro” (direttore di Libero). Per quanto ne sappiamo Belpietro non si associò a quella lettera. Resta un fatto: quando s’è trattato di discutere con l’editore Lavitola, in molti, a partire dai rappresentanti delle istituzioni, per finire agli editori, l’hanno considerato un interlocutore. Come se il Lavitola “faccendiere” fosse un’altra persona. O forse proprio per quello.
Il Fatto Quotidiano, 26 ottobre 2011