Dopo diciotto anni di latitanza, gli agenti della squadra mobile di Catania hanno arrestato il boss Giovanni Arena, 56 anni, ritenuto al vertice della omonima famiglia mafiosa. Inserito nella lista dei 30 latitanti più pericolosi del Paese, nel 1993 sfuggì all’operazione ‘Orsa maggiore’ contro la cosca Santapaola, un’operazione ritenuta lo spartiacque nella lotta alla mafia nella provincia etnea coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia della locale Procura. In contumacia, è stato condannato all’ergastolo per un omicidio commesso nel 1989. Su di lui pesano anche le accuse di associazione mafiosa, detenzione di armi e traffico di droga.
La cattura del boss è avvenuta alle due di notte a opera della sezione Catturandi della Squadra mobile di Catania: il latitante era in un appartamento al secondo piano di uno stabile a poche decine di metri dal cosiddetto “palazzo di cemento” del quartiere di Librino, la centrale dello spaccio di droga da lui controllata. Era nascosto dietro un letto a ponte che i poliziotti hanno forzato. Un identico nascondiglio era stato ricavato nell’appartamento del figlio del boss, all’ottavo piano dello stesso palazzo. “Questa volta siete stati bravi… da vent’anni sono in questa casa…”, ha detto Giovanni Arena ai poliziotti che lo hanno ammanettato.
Ritenuto esponente di spicco dalla cosca Santapaola, e legatissimo alla “sua famiglia”, secondo gli inquirenti Arena ha avuto un ruolo nell’attentato incendiario che il 18 gennaio 1990 distrusse la sede della Standa, allora di proprietà del gruppo Berlusconi, nella centrale via Etnea a Catania. Era lo stesso giorno in cui arrivò in città la commissione antimafia. Da quell’accusa Arena è stato prosciolto. Il latitante è stato condannato all’ergastolo il 28 maggio 2003 nel processo Orione 5, per l’uccisione di Maurizio Romeo, esponente della cosca rivale dei Ferrera, noti come ‘Cavaduzzu‘, avvenuto ad Aci Castello il 31 ottobre 1989. A delinearne la pericolosità, secondo gli investigatori, sarebbe la sua lunga latitanza: 18 anni trascorsi ben protetto dalla ‘famiglia’, segno, sostengono, del suo inserimento ad alti livelli nell’organizzazione. Il clan Santapaola, però, a quanto pare gli stava stretto e così decise di lasciare la cosca, alla quale era affiliato, e passò nel gruppo Sciuto-Tigna alleato del clan Cappello, organizzazione criminale storicamente rivale di Cosa nostra. Al centro del passaggio, sostengono, gli investigatori c’è la gestione del fiorente mercato dello spaccio di droga.
La sua famiglia, secondo l’accusa, avrebbe adesso una gestione ‘autonoma’, con il controllo del mercato dello spaccio di stupefacenti nel rione Librino, e in particolare del famigerato ‘Palazzo di cemento’ dello stesso quartiere, che produrrebbe un vertiginoso giro d’affari illecito. Il rapporto del nucleo familiare del boss con la giustizia, inoltre, non è iniziato con l’arresto del capofamiglia. In passato, infatti, sono finiti in manette o fermati anche sua moglie e quattro dei loro figli. La moglie, Loredana Agata Avitabile, 55 anni, è considerata la ‘zarina’ del ‘palazzo di cemento’ del rione Librino, ritenuto uno dei centri dello spaccio di droga a Catania. Non meno corposa la fedina penale dei rampolli di famiglia: Maurizio è stato arrestato con l’accusa di omicidio il 15 novembre del 1999; Agatino Assunto, catturato il 28 febbraio del 1999, e il 27 febbraio del 2010 condannato a 10 anni di reclusione per associazione mafiosa; Antonino, arrestato il 26 luglio del 2011 dopo due anni di latitanza e destinatario di quattro ordinanze di custodia cautelare; e Massimiliano, che fu arrestato il 31 ottobre del 2007, e poi rinviato a giudizio, per tentativo di omicidio: con due complici, il 20 dicembre del 2006, avrebbero ferito con un colpo di pistola un metronotte di 52 anni nel tentativo di rubargli l’arma mentre l’uomo era in servizio davanti la guardia medica del rione Librino.
Altri esponenti del clan furono coinvolti nell’operazione denominata “Revenge“, condotta dalla Squadra Mobile nell’ottobre del 2009: vennero sequestrate molte armi che secondo gli inquirenti sarebbero state utilizzate per la ripresa di una sanguinosa faida mafiosa a Catania. Un famiglia anche unita: quando la polizia arrestò il ricercato Antonino Arena, latitante da due anni, una sua sorella si mise in auto inseguendo la pattuglia che lo portava in Questura gridando agli agenti “fatelo scendere, fatelo scendere…”.