Nell’ultimo post ho parlato della zona in cui vivo, della sua demografia, della sua forza e dei suoi problemi. Vorrei parlare ancora del mio impegno sul territorio con il Labour party, come occasione per affrontare il tema generale del partito e della politica.
Sono determinata a far vincere il Labour party nel quartiere di Hackney, e in particolare nel territorio della mia sezione, che alle ultime elezioni locali ha espresso nel Consiglio Comunale solo consiglieri del partito liberal-democratico (LibDem). Abbiamo rimesso mano alla sezione locale e cominciato un lavoro certosino con le comunità perché possano essere protagoniste di questo cambiamento. Ci siamo uniti ad altre due sezioni locali, con caratteristiche analoghe, per mettere insieme le forze. A settembre abbiamo promosso un incontro molto partecipato per discutere cosa era successo con le rivolte di agosto, e per costruire – come comunità – una risposta condivisa che incentivi la partecipazione di tutte e tutti a un processo di riscossa e di “riappropriazione” del nostro territorio. La sezione locale del Labour party serve proprio a questo: offrire un luogo dove tutti possano discutere e presentare le proprie istanze.
Certo, non è l’unico luogo. La mia comunità vibra di impegno, pullula di attivismo, sia nelle comunità religiose che in altre forme, con i genitori nelle scuole, gli utenti del parco, le associazioni degli inquilini (tenants’ associations), il farmer’s market che vende – e privilegia – i prodotti locali. La gente si organizza attraverso le varie forme dell’attivismo locale. Il partito è invece il luogo attraverso cui il consenso si trasforma in rappresentanza al Consiglio Comunale e, pertanto, offre la propria forma proprio a coloro che vogliano trasportare il loro attivismo o la loro esperienza su un piano diverso.
Il Partito Laburista ha recentemente approvato alla Conferenza di Liverpool il documento “Rifondare il Labour Party per vincere”, che ne definisce il modello organizzativo. Sono stati introdotti i supporter, che non sono iscritti al partito, e vi partecipano solo per eleggere il leader con le primarie. Nel documento viene sancita l’autonomia del partito locale, se ne definisce il finanziamento, si stabiliscono forme innovative di selezione delle leadership e di partecipazione politica degli iscritti.
Il partito era arrivato ai minimi storici in termine di iscritti. Certamente, e almeno in parte, a causa della guerra in Iraq: il numero di iscritti è infatti aumentato di nuovo, vertiginosamente, a partire dalla contesa per la selezione del leader e con il nuovo corso di Ed Miliband. Il modello da lui proposto mutua parecchio in termini organizzativi dal modello già lanciato da Obama, e potrà funzionare in un paese come questo, dove la partecipazione alla vita delle comunità è un tratto determinante dello stare insieme.
Il segretario ha anche recentemente operato un rimpasto, nominando un nuovo Governo Ombra e introducendo tanti volti nuovi. Il tema di “Una nuova generazione per il Labour Party” è adesso divenuto principale.
C’è un aspetto in particolare che mi colpisce.
Soffiava, quando ero in Italia (e immagino anche adesso), il vento dell’antipolitica e soprattutto dell’antipartitismo. La nascita del Partito Democratico fu segnata da questa fase, e dunque caratterizzata dallo smantellamento certosino di ciò che, di fatto, costituiva fino a quel momento l’essenza di un partito politico.
Coloro che in Italia parlano di “rinnovamento” hanno battuto spesso su un tasto: il limite al numero dei mandati. È un argomento molto gettonato, forse perché facile da enunciare; ma è un tema assente in Gran Bretagna, e si propone di risolvere un problema che io fatico a diagnosticare. Il fatto che nel Governo Ombra ci sia Harriet Harman, parlamentare dal 1982, è semmai la garanzia affinché vi siano anche i miei coetanei; per citarne alcuni, il ministro Ombra del Tesoro Rachel Reeves, oppure Chuka Umunna, Ministro ombra al Business, Innovation and Skills, entrambi entrati in Parlamento nel 2010. Non è necessario togliere Harriet per fare posto a Chuka o Rachel!
A me pare, anzi, che sia proprio il contrario: la presenza attiva della prima è condicio sine qua non affinché vi siano gli altri, e viceversa. I nuovi dirigenti si rafforzano se i loro predecessori lavorano dentro la “ditta” in modo disciplinato, riconoscendone l’autorità. Non a caso sono proprio alcuni “pensionati illustri” (come Blair o Mandelson) che talvolta, dal di fuori, provano a mettere in discussione il gruppo dirigente. È per questo che il limite ai mandati mi è sempre parso un po’ naïf, o come dicono da queste parti “the wrong end of the stick” (l’estremo sbagliato del bastone), vale a dire che si affronta il problema dalla parte sbagliata.
Esiste anche in Gran Bretagna un problema di rinnovamento, ma in un senso completamente diverso, legato alla nozione di rappresentanza, al desiderio di creare un gruppo parlamentare più proporzionato alla reale composizione della società. In gran parte gli eletti provengono infatti dalle schiere dei collaboratori parlamentari e dalle università più prestigiose; la sfida di Refounding Labour è di costruire invece una rappresentanza più varia, compito importante in un paese come questo dove vige ancora il class system.
Per concludere, e su un terreno completamente diverso: le elezioni in Tunisia sono state un successo. Mentre ancora si contano i voti, un dato è certo: l’Islam politico è una realtà importantissima, e ignorarla vuol dire non comprendere il percorso di democratizzazione del mondo arabo. Ne parlerò nel prossimo post.