Dopo i fatti della Freedom Flottilla con l'uccisione di nove attivisti turchi da parte della marina israeliana, le relazioni diplomatiche sono ridotte ai minimi termini. Ciò nonostante Ankara ha deciso di dire sì ai soccorsi di Tel Aviv. Ma gli esperti dicono che l'aiuto ai terremotati non risolverà la crisi fra i due paesi
Una decisa inversione di tendenza rispetto alle prime ore, quando il primo ministro Recep Tayyip Erdogan aveva assicurato che la Turchia era perfettamente in grado di far fronte all’emergenza in totale autonomia.
Poi, il bilancio delle vittime in continuo aggiornamento e centinaia le famiglie di sfollati all’addiaccio hanno spinto all’ammissione: la Turchia ha bisogno di tende e prefabbricati.
E mentre Ankara si muoveva con le organizzazioni internazionali, le sedi diplomatiche turche all’estero hanno attivato i loro canali. Una tempestiva offerta d’aiuto è arrivata anche da Israele, che in giornata ha inviato il primo aereo militare con a bordo il materiale per costruire sette edifici prefabbricati. Altri aiuti arriveranno nei prossimi giorni anche via mare.
La decisione è arrivata al termine di una notte di mediazione tra Ankara e Tel Aviv, conclusa con il via del ministro della Difesa israeliano Ehud Barak ai primi soccorsi. E poco dopo le prime precisazioni. Il governo turco, infatti, ha fatto sapere che Ankara accetterà volentieri aiuti concreti ma non è disposta a ricevere l’aiuto di militari israeliani sul campo.
Del resto anche sulla stampa israeliana nessuno si è fatto illusioni: l’aiuto ai terremotati non potrà nulla sulla crisi diplomatica tra i due Paesi, hanno sostenuto diversi analisti. “Le nostre relazioni con la Turchia non sono buone – ha ammesso poi Amos Ghilad, consigliere politico di Barak – Ma noi dobbiamo comunque sforzarci di migliorarle”.
I rapporti tra Tel Aviv e Ankara si sono bruscamente deteriorati dopo l’arrembaggio israeliano del maggio del 2010 contro la nave Freedom Flotilla impegnata nel tentativo di forzare il blocco navale della Striscia di Gaza, provocando l’uccisione di nove attivisti turchi.
Da allora il governo di Erdogan ha sempre chiesto, senza successo, scuse ufficiali e un risarcimento alle famiglie delle vittime da parte di Israele. L’apice dello scontro è arrivato quest’estate, con la pubblicazione delle conclusioni dell’inchiesta internazionale richiesta dall’Onu che, pur bollando come “eccessiva e irragionevole” l’azione israeliana, ha di fatto implicitamente ammesso il blocco di Gaza.
Furiosa la reazione di Ankara che ha bocciato le conclusioni come “inammissibili”. Il ministro degli Esteri turco, Ahmet Davutoglu, a strettissimo giro ha annunciato l’espulsione dell’ambasciatore israeliano e la sospensione di tutti gli accordi militari con lo Stato ebraico, accusato di essere il solo responsabile del deteriorarsi delle relazioni diplomatiche tra i due Paesi.
Fatto sta che oggi, a sostenere la popolazione turca, ci sono anche gli aiuti israeliani. Intanto, a tre giorni giorni dal sisma, Erdogan è tornato a parlare, ammettendo alcune lacune delle autorità nella gestione dell’emergenza. “Nelle prime 24 ore – ha ammesso il premier alla stampa – Ci sono state veramente delle mancanze, lo riconosciamo”, salvo poi rassicurare che “lo Stato si è mobilitato con tutte le sue istituzioni” e puntare il dito contro le responsabilità, ancora tutte da provare, dei costruttori.
“Dalle macerie emerge che il materiale utilizzato (per la costruzione degli edifici) era di pessima qualità, le vittime hanno pagato con la vita il prezzo di un cemento che si è rivelato friabile come la sabbia – ha commentato il leader dell’Akp – I comuni, i costruttori, i supervisori, dovrebbero essere considerati colpevoli di omicidio”.
di Tiziana Guerrisi