Buenos Aires – Dodici ergastoli. Ieri è stata una giornata storica per la giustizia argentina. Dopo quasi due anni si è conclusa una prima tranche del maxi processo Esma: quella relativa alla tortura, sequestro e omicidio di 86 persone. Sono stati condannati al carcere a vita dodici repressori, tra cui Jorge Acosta detto “Tigre”, capo del gruppo operativo dell’Esma, il principale centro di detenzione della Marina negli anni della dittatura, e l’ex capitano di corvetta Alfredo Astiz, conosciuto come l’angelo biondo o angelo della morte, diventato il simbolo del male e dell’efferatezza di quegli anni.
Il processo verteva sui casi di sparizione, tortura e morte di un gruppo di genitori di desaparecidos, conosciuto come il gruppo di Santa Cruz, tra cui anche tre delle fondatrici del movimento delle madri di plaza de Mayo e tre monache francesi che le assistevano nelle ricerche. Un sequestro reso possibile proprio da Astiz, che si infiltrò nel gruppo fingendosi fratello di uno scomparso. L’ex capitano di corvetta è stato riconosciuto colpevole assieme ad altri anche della sparizione e della morte di Rodolfo Walsh, icona del giornalismo militante di quegli anni e autore di una celebre lettera aperta alla giunta militare in cui si denunciavano i crimini della dittatura. Una lettera che gli costò la vita.
L’“angelo della morte” era già stato condannato all’ergastolo in contumacia in Francia per l’omicidio delle monache e in Italia per la sparizione di tre cittadini del nostro Paese, ma è la prima volta che viene condannato da un tribunale argentino. Per questo la sentenza di ieri ha una forte valenza simbolica.
Nel processo erano coinvolti diciotto repressori (ma all’Esma secondo i testimoni sarebbero passati almeno 200 militari), tra cui molti nomi noti tra i familiari dei desaparecidos e i sopravvissuti ai campi di tortura, come l’ex capitano di fregata Antonio Pernias, considerato uno dei torturatori più crudeli, l’ex capitano di Corvetta Ricardo Cavallo e Jorge Radice, tutti condannati al carcere a vita.
Per quattro imputati sono state stabilite pene dai 18 ai 25 anni di carcere, mentre due sono stati assolti ma resteranno in carcere perché coinvolti in altri processi.
L’Esma, l’ex Scuola di Meccanica della Marina, è stato uno dei principali centri di detenzione e tortura all’epoca della dittatura. Al suo interno sono state imprigionate e torturate almeno cinquemila persone, gran parte delle quali sono state poi trucidate o gettate in mare con i famigerati “voli della morte”. Si sono salvati in meno di duecento. Proprio grazie alle loro testimonianze è stato possibile ricostruire l’orrore di quegli anni: la meccanica dei sequestri, la spaventosa catena delle torture, i corpi lanciati vivi dagli aerei, il destino finale nel rio della Plata.
Carlos Lordkipanidse e Miriam Lewin sono tra i sopravvissuti dell’Esma, entrambi hanno testimoniato in numerosi processi. Dopo essere stati torturati in modo selvaggio, gli ufficiali della Marina li hanno destinati alla pecera, l’acquario come lo chiamavano allora, una sorta di ufficio all’interno del centro di tortura dove venivano falsificati documenti, prodotte traduzioni, archiviati dati e giornali dell’epoca. Si sono salvati così, “lavorando” per il nemico.
Ieri erano entrambi in aula ad attendere la sentenza. “E’ un giorno di giustizia”, ha commentato commossa la Lewin, diventata una giornalista molto nota. “Vedere i miei ex torturatori seduti in manette, a oltre trent’anni dalla dittatura, è stato impagabile”.
Per Carlos Lordkipanidse è la fine di un incubo, adesso potrà liberarsi della paura che lo ha accompagnato in tutti questi anni. Anche se il ricordo delle violenze subite, spiega, non si cancella: Lordkipanidse venne torturato assieme al suo bambino di pochi mesi. I suoi aguzzini glielo poggiavano sul petto, o lo sollevavano in aria minacciando di fracassargli la testa contro il muro se Carlos non avesse rivelato nomi e indirizzi dei suoi compagni di militanza.
Con la sentenza di ieri si chiude un capitolo tragico della storia argentina, anche se restano aperti numerosi altri processi relativi agli anni della dittatura; per esempio quelli sui casi di appropriazione dei figli di detenute desaparecidas, poi dati in adozione a personale della Marina e dell’Esercito; i voli della morte; la sottrazione sistematica dei beni delle persone sequestrate.
di Anna Vullo