I dati contenuti nel dossier dell'Unfpa sono contraddittori: i cittadini del 2011 sono i più giovani e insieme i più vecchi mai conosciuti. Si fanno decisamente meno figli rispetto a cinquant'anni fa, ma le cifre continuano ad aumentare
Almeno a giudicare dal rapporto sullo stato della popolazione mondiale “Il mondo a 7 miliardi: le persone, le opportunità” del Fondo delle Nazioni unite per la popolazione (Unfpa), pubblicato in Italia dall’Associazione Italiana Donne per lo Sviluppo.
I dati contenuti nel dossier sono contraddittori: la popolazione del 2011, infatti, è la più giovane e insieme la più vecchia mai conosciuta, si fanno decisamente meno figli rispetto a cinquant’anni fa, ma le cifre continuano a crescere. Anche se in ritardo rispetto a quanto previsto dagli Obiettivi del millennio, la povertà estrema ha segnato un calo rilevante, ma la forbice tra ricchi e poveri si va allargando. Non solo nei paesi più poveri.
Un numero crescente di giovani, infatti, soprattutto in Asia, Africa e America latina hanno davanti a loro un “un futuro incerto”, spiega il rapporto, mentre si registra un costante invecchiamento della popolazione in Europa e in America del Nord. Elemento, questo, che solleva non pochi interrogativi sulla tenuta degli attuali sistemi previdenziali.
Intanto, Cina e India, ognuna con una popolazione che supera il miliardo di abitanti, hanno dalla loro le economie con i più alti tassi di crescita. E questo pone, anche nel futuro molto prossimo, una serie di sfide anche ambientali tenuto conto che oggi il 7 per cento della popolazione più ricca produce metà delle emissioni mondiali di anidride carbonica. Una cifra che è destinata ad aumentare con lo sviluppo economico di nuove potenze emergenti. Il rapporto Unfpa, inoltre, rivela una sempre più intensa mobilità all’interno e tra diversi Paesi insieme a migrazioni di massa dovute spesso a catastrofi ambientali e cambiamenti climatici.
Certo, la quota 7 miliardi, sostiene il rapporto dell’Unfpa, segna anche un traguardo positivo: negli ultimi 60 anni la speranza di vita media è passata dai 48 anni ai 68, la mortalità infantile è scesa dai 133 decessi ogni mille nati negli anni Cinquanta a 46 tra il 2005-2010 e il tasso di fecondità è passato da 6 a 2,5 anche grazie a politiche di sostegno in settori come istruzione, accesso al lavoro e potenziamento dei servizi per la salute sessuale e riproduttiva.
Resta il fatto, però, che gli attuali modelli di sviluppo economici e ambientali sembrano incapaci di reggere alle richieste di 7 miliardi di persone. Specialmente se, come prevede il World Population Prospects: The 2010 Revision dell’Onu, la popolazione mondiale raggiungerà 9,3 miliardi di persone già nel 2050.
E’ questo uno dei motivi principali per cui le Nazioni unite sostengono le necessità di una pianificazione a più livelli per far fronte alle sfide dei prossimi decenni, quando si invertiranno alcuni rapporti di forza demografici a livello mondiale. Ovvero quando accanto allo sviluppo dell’Asia, che resterà la macro regione più popolosa del mondo anche nel XXI secolo, l’Africa guadagnerà terreno triplicando la sua popolazione, che passerà da un miliardo nel 2011 a 3,6 nel 2100.
Si tratta di sfide, spiega Daniela Colombo, presidente di Aidos, sulle quali anche “il mondo delle organizzazioni della società civile dibatte e cerca soluzioni, spesso alternative a quelle proposte finora dai governi”. e proprio le istituzioni, nazionali e internazionali, sostiene il rapporto, dovrebbero puntare a una maggiore equità sociale e al rallentamento della crescita demografica. Ma anche a raggiungere nel più breve tempo possibile accordi sostenibili per una riduzione evidente delle emissioni di gas serra.
Proprio questa sembra essere una delle sfide più difficili da portare avanti, tenuto conto delle resistenze di molti Paesi, Stati uniti in testa, a modificare il trend attuale. Soprattutto in una fase economica e finanziaria che poco spazio sembra disposta a lasciare alla pianificazione sul lungo termine, tutta a presa a risolvere gli stringenti problemi di cassa e di debito pubblico.
di Tiziana Guerrisi