A settembre c'è stato un lieve aumento delle retribuzioni contrattuali (+0,3%), ma l’inflazione ha continuato a fare balzi in avanti raggiungendo quota 3%
Intanto l’inflazione ha continuato a fare balzi in avanti raggiungendo quota 3%. Ecco che il gap tra salari e prezzi risulta pari a 1,3 punti percentuali, a sfavore dei primi. Tornando indietro nel tempo, mese per mese, un divario così ampio non si ritrova, almeno considerando gli ultimi 14 anni. Andando ancora indietro, infatti, le serie storiche diventano più difficilmente comparabili. E nel lontano 1997, quando si iniziavano a mettere a punto i primi pilastri dell’Unione economica e monetaria, lo scenario era ben diverso: allora le retribuzioni crescevano a ritmi decisi, oltre il 4%, mentre l’inflazione si manteneva poco sopra il 2%.
Oggi a determinare il distacco è, da una parte, un’attività contrattuale piuttosto fredda, sopratutto a causa del blocco dei rinnovi nella pubblica amministrazione. Ad attendere un nuovo accordo in Italia, infatti, sono ben 4,3 milioni di dipendenti. Non a caso a settembre i mesi di attesa per l’aggiornamento del contratto sono quasi raddoppiati a confronto con il 2010. Dall’altra parte, la spinta che è arrivata dalle quotazioni dei prodotti energetici ha alimentato la crescita dei prezzi, su cui a settembre ha iniziato a farsi sentire anche l’aumento dell’Iva. A soffrire non è solo il comparto pubblico, anche una parte del settore privato paga il prezzo della crisi. L’Istat oggi ha diffuso i dati sulle retribuzioni lorde nelle grandi aziende ad agosto, cifre che sono risultate negative (-0,7% su base annua). Allo stesso tempo, sempre nelle imprese ‘big’, non si ferma la caduta dell’occupazione (-0,6%).